Istituto Nazionale della Previdenza Sociale
Circolare numero 91 del 26-5-2003.htm
Riposi giornalieri in caso di adozione e affidamento. Sentenza della Corte Costituzionale n. 104 del 9/4/2003.
Direzione
Centrale
Prestazioni
a Sostegno del Reddito
Ai
Dirigenti centrali e
periferici
Ai
Direttori delle Agenzie
Ai
Coordinatori generali,
centrali e
Roma, 26
Maggio 2003
periferici dei Rami
professionali
Al
Coordinatore generale
Medico legale e
Dirigenti Medici
Circolare
n. 91
e,
per conoscenza,
Al
Commissario Straordinario
Al
Vice Commissario Straordinario
Al
Presidente e ai Membri del
Consiglio
di Indirizzo e Vigilanza
Al
Presidente e ai Membri del
Collegio dei Sindaci
Al
Magistrato della Corte dei
Conti delegato
all’esercizio del
controllo
Ai
Presidenti dei Comitati
amministratori
di fondi, gestioni e casse
Al
Presidente della
Commissione centrale
per l’accertamento e la riscossione
dei
contributi agricoli unificati
Ai
Presidenti
dei Comitati regionali
Allegati 1
Ai
Presidenti
dei Comitati provinciali
OGGETTO:
Riposi giornalieri in caso di adozione e affidamento. Sentenza
della Corte Costituzionale n. 104 del 9/4/2003.
SOMMARIO
:
I genitori di bambini adottati o presi in affidamento hanno diritto a
fruire dei riposi di cui agli artt. 39, 40 e 41 del D. Lgs. 151/2001 (T. U.
sulla maternità) entro il primo anno dall’ingresso del minore nella famiglia
adottiva o affidataria
1)
Riposi
giornalieri in caso di adozione e affidamento.
La Corte Costituzionale, con
sentenza n. 104 del 1/4/2003 (v. G. U. 1° serie speciale – Corte
Costituzionale - n. 14 del 9/4/2003), ha dichiarato
costituzionalmente
illegittimo l’art. 45 del D. Lgs. 151/2001
(T. U. sulla maternità) nella
parte in cui prevede che i riposi di cui agli artt. 39, 40 e 41 del decreto
medesimo si applichino, anche in caso di adozione e di affidamento, entro il
primo anno di vita del bambino.
I genitori di bambini adottati o
presi in affidamento, in base alla sentenza sopra citata, hanno diritto a
fruire dei riposi giornalieri
entro il
primo anno dall’ingresso del minore nella famiglia
adottiva o
affidataria.
Secondo la Consulta, infatti, la
limitazione temporale di cui all’art. 45 del T. U. avrebbe di fatto reso
inapplicabili,
con evidente violazione del principio di eguaglianza
, i
riposi in oggetto a favore delle madri adottive o affidatarie, giacché, nella
quasi totalità dei casi, i bambini dati in adozione o in affidamento entrano
nella famiglia adottiva o affidataria quando hanno già compiuto il primo anno
di età.
La circostanza che la pronuncia
della Corte costituzionale faccia generico riferimento all’affidamento, senza
darne una qualificazione giuridica, depone a favore dell’applicabilità della
sentenza in oggetto, sia nell’ipotesi dell’
affidamento preadottivo
, che nell’ipotesi dell’
affidamento provvisorio.
Del resto, una parità di
trattamento tra affidamento preadottivo e affidamento provvisorio è da
ritenersi ormai principio generale – ovviamente se non esplicitamente
disciplinata in maniera diversa – agli effetti del diritto alle prestazioni
di maternità, per cui l’Istituto (v. ad es.: circ. 229/1988, circ. 151/1990)
aveva senz’altro riconosciuto il diritto alle medesime prestazioni, previste
per le madri adottive, a tutte le donne che avevano avuto bambini in
affidamento, preadottivo o provvisorio che fosse.
Nell’ipotesi di
adozione o affidamento di due o più
minori
entrati nella famiglia adottiva o affidataria nella stessa data,
trova applicazione l’art. 41 del T. U., che prevede il
raddoppio
dei riposi in caso di parto plurimo: a quest’ultimo,
infatti, è equiparabile l’ingresso in
famiglia, avvenuto nella stessa data, di due o più minori, anche non
fratelli.
In proposito la Corte ha dichiarato
che i bisogni affettivi e relazionali
del minore adottato o affidato, al soddisfacimento dei quali sono diretti i
riposi giornalieri, richiedono un tempo maggiore quando devono essere
appagati riguardo a più persone.
In attesa dell’intervento del
legislatore auspicato dalla Corte per una eventuale individuazione dei limiti
di età del minore adottato o affidato, si ritiene che i genitori adottivi o
affidatari possano avvalersi dei riposi giornalieri fino al
raggiungimento della maggiore età del
minore
in adozione o in affidamento, ovviamente non oltre un anno
dall’ingresso in famiglia.
Inoltre, a differenza di quanto
previsto per i figli “biologici” – per i quali i genitori possono fruire dei
riposi giornalieri solo al termine del periodo di astensione obbligatoria
post-partum – il/la lavoratore/trice che abbia adottato o preso in
affidamento un minore può utilizzare i riposi giornalieri a partire dal
giorno successivo all’ingresso del bambino in famiglia, in luogo del congedo di maternità di cui all’art. 26
del T.U. o del congedo di paternità di cui al successivo art. 31.
Ciò, in quanto la fruizione del
congedo di maternità in caso di adozione o affidamento non è obbligatoria
come in caso di parto, come non lo è la fruizione del congedo di paternità
(riconoscibile, si sottolinea, semplicemente in seguito alla mancata
richiesta e cioè, sostanzialmente, alla rinuncia della lavoratrice
dipendente, madre adottiva o affidataria, al congedo di maternità).
Ovviamente, la successiva richiesta
di congedo di maternità/paternità (non oltre il 3° mese dall’ingresso in
famiglia) sostituisce la richiesta, per i giorni coincidenti, dei riposi
(orari) giornalieri.
Sono applicabili, invece, fatto
salvo il diverso ambito temporale (entro un anno dall’ingresso del minore
nella famiglia), le disposizioni previste (v. circ. 109 del 2000 e circ. 8
del 2003) per i figli “biologici”, sia relativamente ai requisiti soggettivi
richiesti, che ai rapporti che potrebbero instaurarsi tra riposi giornalieri,
congedo di maternità o di paternità, congedo parentale, quando entrambi i
genitori adottivi o affidatari intendano utilizzare contemporaneamente gli
uni e gli altri.
La madre adottiva o affidataria può
beneficiare, infatti, dei riposi giornalieri durante il congedo
parentale
del padre adottivo o affidatario, ma non anche durante il congedo di
paternità di quest’ultimo. Il padre adottivo o affidatario, invece, non può
godere dei riposi suddetti né durante il congedo di maternità, né durante il
congedo parentale della madre nonché durante i periodi di sospensione del
rapporto di lavoro della stessa.
Nell’ipotesi in cui il padre
adottivo o affidatario stia fruendo dei riposi giornalieri in assenza di
richiesta del congedo di maternità o del congedo parentale della madre
adottiva o affidataria, una eventuale, successiva richiesta dei congedi
suddetti da parte della madre farebbe venir meno, come del resto accennato,
la possibilità, per il padre, di utilizzare i riposi nei periodi coincidenti
con i congedi della madre.
Nei confronti del padre adottivo a
affidatario sono comunque applicabili anche le altre condizioni di utilizzo
dei riposi in questione previste dagli artt. 40 (affidamento esclusivo dei
figli al padre, mancata fruizione dei riposi, da parte della madre
lavoratrice
dipendente
, per rinuncia della stessa o perché
appartenente a categoria non avente diritto ai riposi suddetti, ipotesi di
madre non lavoratrice dipendente, morte o grave infermità della madre) e 41
del T.U.(fruibilità da parte del padre delle ore aggiuntive previste in caso
di plurimo) ed esplicate nelle citate
circolari n. 109/2000 ( v. paragrafo 2) e n. 8/2003 (v. paragrafo 2).
Laddove i genitori abbiano fruito
dei riposi giornalieri durante l’affidamento preadottivo, gli stessi non
possono fruire di ulteriori periodi a seguito dell’adozione.
IL
DIRETTORE GENERALE f.f.
PRAUSCELLO
Allegato
1
SENTENZA
N.104
ANNO
2003
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA
CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
-
Riccardo CHIEPPA Presidente
-
Gustavo ZAGREBELSKY Giudice
-
Valerio ONIDA "
-
Carlo MEZZANOTTE "
-
Fernanda CONTRI "
-
Guido NEPPI MODONA "
-
Piero Alberto CAPOTOSTI "
-
Annibale MARINI "
-
Franco BILE "
-
Giovanni Maria FLICK "
-
Francesco AMIRANTE "
- Ugo
DE SIERVO "
-
Romano VACCARELLA "
-
Paolo MADDALENA "
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nei
giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 10 della legge 30 dicembre
1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri) e 6 della legge 9 dicembre
1977, n. 903 (Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro)
e dell’art. 45, comma 1, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo
unico delle disposizioni legislative in materia di tutela della maternità e
della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53),
promossi con ordinanze del 9 ottobre 2001 dal Tribunale di Trieste nel
procedimento civile vertente tra Rigo Rossella e la Regione Friuli-Venezia
Giulia e del 24 luglio 2001 dal Tribunale di Ivrea nel procedimento civile
vertente fra l’INPS e Bersano Giovanni ed altra iscritte rispettivamente ai
nn. 165 e 294 del registro ordinanze 2002 e pubblicate nella
Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n.
17 e n. 25, prima serie speciale, dell’anno 2002.
Visti
gli atti di costituzione di Rigo
Rossella, dell’INPS, della Regione Friuli-Venezia Giulia nonché gli atti di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito
nell’udienza pubblica del 19
novembre 2002 il Giudice relatore Francesco Amirante;
uditi
l’avvocato Franco Berti per Rigo
Rossella e l’avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.—
Nel corso di una controversia di lavoro promossa da Rossella Rigo Vanon nei
confronti della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, sua datrice di
lavoro, il Tribunale di Trieste ha sollevato questione di legittimità
costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 37 della Costituzione,
dell’art. 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici
madri), e dell’art. 6 della legge 9 dicembre 1977, n. 903 (Parità di
trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro).
Il
giudice
a quo
specifica che la
ricorrente, avendo ottenuto, insieme con il proprio marito, l’affidamento preadottivo
di due bambini nati rispettivamente nel 1991 e nel 1994, ha chiesto in sede
cautelare di poter essere ammessa a fruire dei periodi di riposo giornaliero
di cui all’art. 10 della legge n. 1204 del 1971. Il provvedimento, concesso
dal medesimo giudice remittente in sede cautelare, è stato poi annullato dal
Tribunale a seguito di reclamo.
Instauratosi
il giudizio di merito, il giudice
a quo
,
nel sollevare la presente questione, ricorda di aver accolto l’istanza
cautelare della ricorrente in base al convincimento per cui il termine
annuale previsto dall’impugnato art. 10 deve decorrere, in caso di
affidamento preadottivo, non dalla nascita, bensì dall’ingresso effettivo del
minore in famiglia. A tale convincimento egli precisa di essere giunto sulla base
di una lettura sistematica delle norme vigenti, compiuta alla luce delle
sentenze di questa Corte n. 1 del 1987,
n. 332 del 1988,
n. 341 del
1991 e
n.
179 del 1993. Le misure di protezione originariamente previste per la
sola madre biologica, infatti, sono state estese, grazie alla legge n. 903
del 1977 ed alle citate sentenze, tanto in favore del padre che dei genitori
adottivi ed affidatari, facendo decorrere i termini di fruibilità per questi
ultimi dal momento dell’effettivo ingresso del minore nella famiglia.
Nelle
more del giudizio, tuttavia, sono entrati in vigore la legge 8 marzo 2000, n.
53, ed il testo unico approvato con decreto legislativo 26 marzo 2001, n.
151; quest’ultimo ha chiarito (art. 45) che le disposizioni relative ai
riposi giornalieri si applicano anche in caso di adozione e di affidamento
"entro il primo anno di vita del bambino". Siffatta disposizione,
unitamente al carattere non innovativo del menzionato testo unico, desumibile
dall’art. 15 della legge n. 53 del 2000 (che contiene la relativa delega),
induce il remittente a ritenere che anche per il passato i permessi in
questione potessero essere goduti dal genitore affidatario solo entro il
primo anno di vita del bambino.
E’
proprio tale limitazione temporale, peraltro, a far sorgere nel remittente
dubbi di legittimità costituzionale delle norme impugnate. Nella quasi
totalità dei casi, infatti, i bambini dati in affidamento preadottivo o in
adozione entrano nella famiglia quando hanno già compiuto il primo anno di
età, sicché i permessi in oggetto finirebbero con l’essere prerogativa
pressoché esclusiva dei genitori biologici, con evidente violazione del
principio di eguaglianza. Oltre a ciò, l’anzidetta limitazione si pone in
contrasto anche con l’art. 37 Cost. perché la madre adottiva, qualora non
possa (per motivi economici) o non voglia avvalersi della c.d. astensione
facoltativa (oggi congedo parentale), si trova nella sostanziale
impossibilità di assistere il minore che le è stato affidato; sicché non le
resta altra soluzione che la permanenza nel posto di lavoro, con tutti gli
effetti negativi che inevitabilmente derivano a carico del figlio.
Il
Tribunale di Trieste, pertanto, chiede che le norme impugnate vengano
dichiarate costituzionalmente illegittime "nella parte in cui non
prevedono a favore delle madri adottive o affidatarie in preadozione il
diritto di fruire dei periodi di riposo giornaliero entro l’anno
dall’effettivo ingresso del bambino nella famiglia adottiva o
affidataria".
2.1 —
Si è costituita in giudizio la ricorrente Rossella Rigo Vanon, chiedendo che
la questione venga decisa nel senso indicato dal remittente.
Rileva
la parte privata che, ove venisse accolta l’interpretazione restrittiva
indicata dal Tribunale di Trieste, le norme impugnate non potrebbero
sottrarsi alle indicate censure di illegittimità costituzionale. La
legislazione protettiva della maternità, infatti, non si limita a prendere in
considerazione le esigenze fisiologiche del minore, bensì tiene presenti
anche quelle relazionali ed affettive, tanto che i termini di ammissione al
congedo obbligatorio e facoltativo, sebbene collegati all’età del minore
adottando, decorrono dal momento in cui questi compie il proprio ingresso
nella famiglia. E non si vede per quale motivo analoga previsione non debba
valere anche per i permessi di cui all’art. 10 della legge n. 1204 del 1971.
2.2 —
In prossimità dell’udienza la parte privata Rossella Rigo Vanon ha presentato
un’articolata memoria, insistendo per l’accoglimento delle rassegnate
conclusioni.
Premette
la parte che la vicenda processuale in oggetto si è svolta prima dell’entrata
in vigore del testo unico di cui al d. lgs. n. 151 del 2001 e che il diritto
dei genitori adottivi di fruire dei permessi giornalieri deve ritenersi già
previsto dall’ordinamento ancor prima dell’entrata in vigore del testo unico
medesimo.
La
Rigo Vanon richiama innanzitutto il dibattito svoltosi in seno alla
giurisprudenza di legittimità relativamente all’estensibilità in favore dei
genitori adottivi ed affidatari delle provvidenze di cui alla legge n. 1204
del 1971 per il periodo anteriore all’entrata in vigore della legge n. 903
del 1977 – il cui art. 6 ha espressamente risolto il quesito in senso
favorevole (almeno a partire da quella data) – e ricorda la sentenza
n. 332 del 1988
di questa Corte con la quale sono state dichiarate costituzionalmente
illegittime (quindi, con effetto retroattivo) una serie di norme della legge
n. 1204 del 1971 nella parte in cui non estendevano le provvidenze ivi
previste ai genitori adottivi ed anche agli affidatari provvisori, fissando
in tutti i casi i termini di fruizione dalla data di effettivo ingresso del
minore nella famiglia.
La
parte privata prosegue poi richiamando altre pronunce di questa Corte di
fondamentale importanza nella materia in questione, ossia le sentenze n. 1
del 1987,
n.
341 del 1991 e
n. 179 del 1993.
Alla
luce della giurisprudenza costituzionale evocata, la parte privata ritiene
che la disciplina di cui all’art. 10 della legge n. 1204 del 1971 debba
applicarsi anche in favore dei genitori adottivi ed affidatari, attraverso un
procedimento interpretativo di carattere "logico-sistematico" che
collega le norme esistenti, così come riviste dalla Corte costituzionale, con
i principi fondamentali dell’ordinamento.
Secondo
la parte privata, del resto, sarebbe molto difficile, sul piano della
legittimità costituzionale, dare una spiegazione accettabile del perché la
fruibilità dei permessi giornalieri debba essere ristretta anche per i
bambini adottivi al solo primo anno di vita, dettando una regola che in
concreto renderebbe l’istituto pressoché inapplicabile e che risulterebbe
incomprensibile da un punto di vista logico, oltre che in contrasto con
l’obiettivo fondamentale di salvaguardare nel modo migliore l’evoluzione
psico-fisica del minore. Siffatta interpretazione restrittiva, d’altra parte,
risulterebbe in evidente contrasto con tutti i parametri costituzionali
invocati dal giudice remittente.
3.— Si
è costituita in giudizio la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, parte
convenuta nel giudizio
a quo
,
chiedendo che la prospettata questione venga dichiarata inammissibile o
infondata.
L’inammissibilità
deriverebbe dalla completa carenza di motivazione in punto di rilevanza,
poiché il remittente non ha neppure precisato quale sia stata l’effettiva
data di ingresso dei minori nella famiglia della ricorrente.
Nel
merito, la parte osserva che la parificazione tra genitori biologici e
genitori adottivi è stata compiuta dalle leggi vigenti in riferimento al
congedo di maternità ed al congedo parentale (che attualmente indicano
l’astensione obbligatoria e quella facoltativa).
I riposi
giornalieri di cui all’art. 10 della legge n. 1204 del 1971 hanno, invece,
una finalità ben diversa, che è quella di accudire il neonato nella fase
immediatamente successiva alla nascita; tale necessità di assistenza diretta
si conclude, secondo la valutazione del legislatore, col compimento del primo
anno di vita. Estendere la fruibilità di tali permessi entro l’anno
dall’effettivo ingresso del minore nella famiglia significa snaturare la
portata dell’istituto, compiendo una valutazione che è di politica
legislativa; anche per le madri biologiche, d’altra parte, i permessi non
sono più concedibili una volta trascorso il primo anno di vita del bambino,
restando alle medesime la sola facoltà di avvalersi del congedo parentale, di
modo che nessuna diversità di trattamento può essere ravvisata nel sistema
vigente.
Da
tanto consegue l’infondatezza della questione.
4.— E’
intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con atto difensivo
di contenuto identico a quello della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.
5.— Il
Tribunale di Ivrea – adìto in sede di reclamo avverso il provvedimento
d’urgenza concesso dal giudice monocratico, ai sensi dell’art. 700 cod. proc.
civ., col quale veniva riconosciuto al ricorrente, padre adottivo di un
minore, il diritto alla fruizione dei riposi giornalieri entro l’anno
dall’ingresso del bambino nella famiglia – ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3, 29, 30, 31, 37 e 77 della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale dell’art. 45 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151
(Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno
della maternità e della paternità, a norma dell’art. 15 della legge 8 marzo
2000, n. 53).
Osserva
il giudice
a quo
che l’impugnato
provvedimento d’urgenza è stato emesso in primo grado in base al
convincimento per cui i riposi giornalieri previsti dall’art. 10 della legge
30 dicembre 1971, n. 1204, e dall’art. 3, comma 5, della legge n. 53 del
2000, possono essere fruiti dai genitori adottivi non entro l’anno dalla
nascita del minore, bensì entro l’anno dal momento in cui lo stesso ha fatto
il suo effettivo ingresso nella famiglia. In sede di reclamo, proposto
dall’Istituto nazionale della previdenza sociale, tanto quest’ultimo quanto
il datore di lavoro hanno eccepito l’erroneità del provvedimento favorevole
al lavoratore, sostenendo che il quadro normativo complessivo, da leggersi
alla luce del sopravvenuto art. 45 del d. lgs. n. 151 del 2001, imponeva di
limitare la concessione dei permessi in questione al primo anno di vita del
bambino.
Ciò
premesso in punto di fatto, il Tribunale di Ivrea, accogliendo e facendo
propria l’eccezione avanzata in sede di reclamo dal lavoratore (che insisteva
nel contempo per la conferma dell’impugnato provvedimento), ha ritenuto di
dover sollevare questione di legittimità costituzionale del citato art. 45
"nella parte in cui dispone che le norme in materia di riposi di cui
agli artt. 39, 40, 41 dello stesso decreto si applicano anche in caso di
adozione e di affidamento soltanto entro il primo anno di vita del
bambino" (comma 1).
Nel
motivare sulla non manifesta infondatezza della questione, il Tribunale
remittente ricorda che la normativa sui permessi giornalieri di maternità
trovava in origine il proprio fondamento nell’esigenza dell’allattamento;
tale esigenza, benché non superata, può tuttavia considerarsi non più
esclusiva alla luce sia di quanto sostenuto da questa Corte nella sentenza
n. 179 del 1993
sia del testo dell’art. 6-
ter
della
legge n. 903 del 1977, introdotto con la menzionata legge n. 53 del 2000. Non
si tratta, infatti, soltanto di permettere alla madre (o al padre) di badare
alle fondamentali esigenze fisiche del bambino, ma anche di curare l’aspetto
relazionale del rapporto genitoriale, favorendo il contatto affettivo fra il
genitore ed il figlio. L’art. 39 del d. lgs. n. 151 del 2001, d’altra parte,
sembra aver recepito tale mutamento di prospettiva, facendo riferimento agli
asili nido piuttosto che alle camere di allattamento.
A tale
evoluzione della tutela della maternità e della paternità si è affiancata una
crescente attenzione del legislatore nei confronti della famiglia adottiva,
tradottasi in una serie di norme che di fatto equiparano i genitori adottivi
a quelli biologici.
Sulla
base di tali premesse, al Tribunale remittente la norma censurata pare in
contrasto con i numerosi parametri costituzionali citati. Innanzitutto con
l’art. 3 Cost., inteso sia come principio di eguaglianza che come principio
di ragionevolezza, perché il legislatore ha fissato un medesimo termine di
fruibilità dei permessi in oggetto mentre è evidente che l’inserimento del
bambino nella famiglia adottiva avviene, a differenza che per la famiglia
biologica, in un momento successivo alla nascita, sicché la parità di
trattamento finisce col tradursi in un evidente ostacolo alla crescita
armoniosa del figlio adottivo, a dispetto di tutte le indicazioni provenienti
proprio dalla giurisprudenza costituzionale; e ciò è tanto più irrazionale in
quanto il legislatore, nel regolare il congedo per la malattia del figlio, ha
dimostrato di tener presente la diversa situazione dei figli adottivi,
consentendo ai genitori di assentarsi fino al compimento del sesto anno di
età da parte del minore.
Altrettanto
evidente appare al Tribunale il contrasto con gli artt. 29, 30 e 31 Cost.,
norme tutte finalizzate alla protezione della famiglia e della filiazione;
l’art. 45 impugnato, infatti, dimostra di trascurare le esigenze di carattere
affettivo e relazionale del figlio che sono senz’altro presenti anche nel
caso della filiazione adottiva, dettando una regola che nella grande
maggioranza dei casi finirà col non poter essere utilizzata, perché la
complessità della procedura di adozione è tale che l’effettivo ingresso del
minore nella famiglia avviene quando il medesimo ha già compiuto il primo
anno di vita. Ragioni del tutto analoghe inducono a ritenere violato l’art. 37
Cost., perché la norma in oggetto contrasta con l’obiettivo di protezione
della lavoratrice madre (e del lavoratore padre) alla luce delle sentenze
costituzionali
n.
179 del 1993 e
n. 341 del 1991,
le quali hanno chiarito che le esigenze di equilibrata crescita del minore
rendono necessaria la presenza di entrambi i genitori, con un criterio che
vale anche in rapporto all’affidamento ed all’adozione.
Ultima
censura ravvisata dal remittente è la violazione dell’art. 77 Cost. sotto il
profilo dell’eccesso di delega: in contrasto con i criteri direttivi fissati
dall’art. 15, comma 1, lettera
c
),
della legge n. 53 del 2000 – secondo cui il legislatore delegato aveva il
potere di modificare le norme esistenti soltanto allo scopo di garantirne la
coerenza logica e sistematica – la norma impugnata pone, infatti, un limite
per l’applicabilità delle disposizioni sui riposi giornalieri nel caso di
adozioni o affidamenti non previsto dalla previgente normativa.
La
questione si palesa rilevante, d’altra parte, perché, stante l’immediata
applicabilità
ratione temporis
dell’art. 45 del d. lgs. n. 151 del 2001, in caso di rigetto della proposta
questione da parte della Corte, il Tribunale non potrebbe che accogliere il
reclamo, annullando la prima ordinanza cautelare e negando la sussistenza del
diritto del padre ricorrente a fruire dei periodi di riposo in esame, essendo
stati i medesimi concessi in relazione ad un momento in cui il minore
adottato aveva già compiuto il primo anno di età (mentre non era ancora
trascorso il primo anno dall’ingresso nella famiglia).
6.— Si
è costituito in giudizio l’INPS, chiedendo che la questione venga dichiarata
non fondata.
Osserva
l’ente previdenziale che i riposi giornalieri dei quali si discute sono stati
istituiti con lo scopo primario di consentire l’allattamento del bambino,
ossia per soddisfare un’esigenza di alimentazione e di crescita, tanto che in
passato parecchie aziende avevano creato le apposite camere di allattamento.
Mutato radicalmente l’assetto della società, tali permessi sono stati
concessi anche ai padri lavoratori, sicché alla funzione originaria dei
medesimi se ne sono affiancate altre, le quali tuttavia non hanno eliminato
la
ratio
fondamentale per cui essi
costituiscono un vero e proprio diritto del lavoratore. Se, d’altronde, la
funzione alimentare non fosse a base dei riposi in questione, non si
capirebbe il motivo per il quale in caso di parto plurimo la legge prevede il
raddoppio della durata degli stessi (art. 41 del d. lgs. n. 151 del 2001).
Alla
luce di siffatta ricostruzione, quindi, appare del tutto ragionevole il
termine annuale, decorrente dal momento della nascita, che il legislatore ha
fissato per la fruibilità di tali permessi; decorso il primo anno di vita,
infatti, si sarà compiuto lo "svezzamento", il che consentirà al
genitore di tornare al normale orario di lavoro salva la possibilità di
godere del congedo parentale.
Del
pari infondati paiono all’INPS i profili di violazione degli artt. 29, 30, 31
e 37 Cost., perché la tutela della maternità e della paternità è ampiamente
assicurata nel nostro ordinamento da altri e ben più importanti istituti –
quali il congedo per maternità, quello parentale e quello per le malattie del
figlio – che testimoniano l’equilibrio complessivo del sistema vigente e che
consentono di restringere l’ambito temporale dei permessi di allattamento,
senza timori di violazione di alcun parametro costituzionale, nei limiti
fissati dalla norma impugnata.
7.— E’
intervenuto anche in questo giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
concludendo per l’inammissibilità o l’infondatezza della questione.
La
difesa erariale rileva che l’ordinanza del Tribunale di Ivrea non pare aver
compreso il vero obiettivo che il legislatore si è prefisso di raggiungere
con la norma impugnata. La
ratio legis
,
infatti, non è tanto quella di fornire un’ulteriore protezione al genitore
lavoratore, quanto piuttosto quella di garantire un’adeguata assistenza al
bambino nella prima e più delicata fase della sua esistenza. A tale scopo la
fruibilità dei permessi è stata estesa anche al padre, indirettamente dimostrando
che la finalità dell’allattamento al seno è solo uno degli obiettivi, ma non
l’unico, che la norma intende perseguire. Tuttavia il legislatore si è anche
preoccupato di contemperare le esigenze di assistenza del bambino con quelle
del lavoro, limitando il godimento dei permessi giornalieri al primo anno di
vita del minore; nessuna disparità di trattamento è ravvisabile, perciò, tra
figli adottivi e figli cresciuti dai genitori biologici, perché la norma ha
ritenuto che le esigenze primarie di accudimento del neonato cessino al
compimento del primo anno di età. Sindacare la scelta compiuta, estendendo la
portata della norma nel senso auspicato dal remittente, significherebbe
entrare in una sfera riservata alla discrezionalità del legislatore, per di
più creando una fattispecie dagli incerti confini applicativi.
Le
considerazioni svolte dimostrano anche, secondo la difesa erariale,
l’inesistenza della presunta violazione dell’art. 77 Cost. sotto il profilo
dell’eccesso di delega; la norma impugnata, infatti, in conformità al
criterio direttivo di cui all’art. 15, comma 1, lettera
c
), della legge n. 53 del 2000, non mira affatto ad introdurre
nell’ordinamento una norma nuova, bensì soltanto ad assicurare la coerenza
logica complessiva del sistema normativo vigente.
Considerato in diritto
1.— Il
Tribunale di Trieste ed il Tribunale di Ivrea sottopongono all’esame della
Corte due questioni che, quantunque aventi ad oggetto disposizioni diverse (
ratione temporis
), sono nella sostanza
di identico contenuto.
In
particolare, il Tribunale di Trieste dubita della legittimità costituzionale,
in riferimento agli artt. 3 e 37 della Costituzione, dell’art. 10 della legge
30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), e dell’art. 6
della legge 9 dicembre 1977, n. 903 (Parità di trattamento tra uomini e donne
in materia di lavoro); il Tribunale di Ivrea, invece, solleva questione di
legittimità costituzionale dell’art. 45 (comma 1) del decreto legislativo 26
marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di
tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’art. 15
della legge 8 marzo 2000, n. 53), in riferimento agli artt. 3, 29, 30, 31, 37
e 77 della Costituzione.
Fondamento
di entrambe le questioni è il dubbio riguardante la fruizione dei permessi
giornalieri in favore dei genitori adottivi e degli affidatari, che la
legislazione vigente limita al primo anno di vita del bambino, così come per
i figli biologici. Ad avviso dei Tribunali remittenti, invece, in caso di
adozione o di affidamento tali permessi dovrebbero essere fruibili a partire
dalla data di effettivo ingresso del minore nella famiglia, pur rimanendo
fermo l’attuale limite annuale, sussistendo altrimenti violazione sotto vari
profili dei menzionati parametri costituzionali.
2.— Le
due questioni si differenziano sostanzialmente soltanto da un punto di vista
di cronologia delle norme impugnate, perché le leggi n. 1204 del 1971 e n.
903 del 1977 sono state trasfuse, assieme a molte altre, nel testo unico di
cui al d. lgs. n. 151 del 2001; il Tribunale di Trieste ha impugnato le norme
previgenti, mentre quello di Ivrea ha impugnato l’art. 45 del testo unico. Le
questioni, pertanto, possono essere riunite e decise con una sola pronuncia.
3.— La
questione proposta del Tribunale di Trieste è inammissibile per un duplice
ordine di ragioni.
Da un
lato, infatti, il giudice
a quo
non
ha descritto in modo adeguato la fattispecie sottoposta al suo esame; in
particolare, ha omesso di indicare una dato essenziale ai fini della
rilevanza, ossia la data di effettivo ingresso nella famiglia della
ricorrente dei due bambini destinatari dell’affidamento preadottivo; d’altro
canto, poi, egli, pur mostrando di conoscere la legge n. 53 del 2000 ed il d.
lgs. n. 151 del 2001, non ha tuttavia fornito alcuna motivazione sulla
ragione che lo ha indotto a sottoporre all’esame della Corte due norme
espressamente abrogate dall’art. 86 del decreto da ultimo menzionato. In tal
modo il giudice remittente ha dimenticato che, secondo pacifica
giurisprudenza di questa Corte (v. da ultimo l’ordinanza
n. 204 del 2002),
lo scrutinio di legittimità costituzionale avente ad oggetto norme abrogate
prima della rimessione della questione è possibile solo a condizione che si
dia conto delle ragioni per le quali tale scrutinio mantiene la sua rilevanza
nel giudizio principale.
Né,
d’altronde, per sopperire alle suddette lacune dell’ordinanza, è possibile
fare ricorso alle allegazioni delle parti.
4.— La
questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Ivrea va
esaminata, logicamente, innanzitutto sotto il profilo preliminare
dell’eccesso di delega; ad avviso del giudice
a quo
, infatti, poiché il testo unico di cui al d. lgs. n. 151
del 2001 non avrebbe potuto avere contenuto innovativo – in forza dei criteri
direttivi contenuti nell’art. 15, comma 1, lettera
c
), della legge delega n. 53 del 2000 – l’art. 45 impugnato,
nello stabilire il limite del primo anno di vita del bambino anche per i
genitori adottivi e per gli affidatari, avrebbe oltrepassato i limiti della
delega stessa.
Questa
censura è inammissibile.
Il
giudice remittente prospetta infatti il vizio di eccesso di delega nel
convincimento che il limite di un anno dalla nascita del bambino non fosse
già previsto dall’art. 10 della legge n. 1204 del 1971 e sia stato quindi
introdotto
ex novo
illegittimamente
dalla norma censurata, ma di tale convincimento il Tribunale di Ivrea non
fornisce alcuna motivazione, con la conseguenza che la questione, sotto il
profilo qui esaminato, è inammissibile.
5.―
La questione prospettata dal Tribunale di Ivrea θ invece fondata per
violazione dell’articolo 3 della Costituzione sia sotto il profilo
dell’eguaglianza, perché la norma censurata assoggetta a eguale trattamento
situazioni diverse, sia sotto quello della intrinseca irragionevolezza.
Si
premette che l’istituto dei riposi giornalieri, senza indugiare sulla
normativa anteriore alla Costituzione, aveva la sua originaria disciplina
nell’articolo 9 della legge 26 aprile 1950, n. 860, ed era regolato come strumento
finalizzato esclusivamente all’allattamento. La norma richiamata attribuiva
il diritto a tali permessi soltanto alle madri che allattavano direttamente i
propri bambini, prevedendo le pause in funzione di quell’unica necessità,
tanto che la predisposizione, da parte del datore di lavoro, delle cosiddette
camere di allattamento e dell’asilo nido obbligava le lavoratrici ad
allattare in sede, senza possibilità di uscire dai locali aziendali.
I
riposi giornalieri erano quindi concepiti come complementari alle altre
misure dirette alla protezione della maternità biologica oltre che
parzialmente sostitutivi dell’astensione dal lavoro
post partum
.
Il
successivo articolo 10 della legge n. 1204 del 1971 dimostra già un
cambiamento di prospettiva. Infatti, la fruizione dei riposi risulta non più
strettamente connessa all’esigenza puramente fisiologica dell’allattamento,
tanto che la norma non obbliga più la lavoratrice ad utilizzare le strutture
eventualmente predisposte dal datore di lavoro, quali le camere di allattamento
e gli asili nido, e comincia a dare rilievo all’aspetto affettivo e
relazionale del rapporto madre-figlio.
E’
indubbio, quindi, che gli istituti a protezione della maternità nascono e
vivono per un certo tempo in un contesto sociale e ordinamentale nel quale da
un canto l’adozione, ed in particolare quella dei minorenni, ha scarsa
applicazione e svolge una funzione ben diversa da quella che avrebbe
successivamente assunto, dall’altro il ruolo del padre nella società e nella
famiglia è ancora concepito come del tutto secondario riguardo alla crescita
e alla educazione dei figli nei primi anni della loro vita, sicché ciò che ha
preminente rilievo è pur sempre la maternità biologica. In tale periodo è
soltanto la giurisprudenza ordinaria che, non senza oscillazioni e contrasti,
estende ai genitori adottivi i benefici previsti per i genitori naturali.
6.―
Il quadro muta radicalmente a partire dagli anni settanta per effetto di una
serie di leggi di riforma (diritto di famiglia, paritΰ di trattamento tra
uomo e donna in materia di lavoro, adozione dei minori) e di alcune decisioni
di questa Corte.
Limitando
l’indagine a ciò che più specificamente riguarda la questione in esame,
l’art. 6 della legge n. 903 del 1977 ha esteso alle madri adottive o affidatarie
gli istituti dell’astensione dal lavoro obbligatoria e facoltativa e l’art. 7
ha attribuito anche al padre lavoratore il diritto all’astensione
facoltativa, ma solo a determinate condizioni.
Ciò
che occorre soprattutto sottolineare è che la legge, stabilendo che i
benefici potevano essere goduti, in caso di adozione o affidamento, nel primo
anno d’ingresso del bambino nella famiglia dell’adottante o dell’affidatario,
anche se limitatamente all’ipotesi che il bambino non avesse superato i sei
anni di età, ha attribuito rilievo alla diversità di esigenze del bambino
adottato rispetto a quelle proprie del bambino che vive con i genitori
naturali o con almeno uno di questi.
7.―
Questa Corte θ stata più volte chiamata a pronunciarsi sulla legittimità
costituzionale delle norme disciplinanti gli istituti a protezione della
maternità e dei minori, in particolare sotto il profilo della loro mancata o
non totale estensione al padre lavoratore oppure ai genitori legali
(adottanti o affidatari).
Per
effetto di una serie di decisioni, tutte di accoglimento, il diritto
all’astensione obbligatoria ed ai riposi giornalieri, a determinate
condizioni, è stato esteso al padre lavoratore (sentenza n. 1 del 1987); il
diritto all’astensione facoltativa è stato riconosciuto alla madre
affidataria provvisoria e quello all’astensione obbligatoria alla madre
affidataria in preadozione (sentenza
n. 332 del 1988);
il diritto all’astensione nei primi tre mesi dall’ingresso del bambino nella
famiglia è stato attribuito al padre lavoratore affidatario di minore per i
primi tre mesi successivi all’ingresso del bambino nella famiglia in alternativa
alla madre (sentenza
n. 341 del 1991);
il diritto ai riposi giornalieri, infine,è stato esteso, in via generale ed
in ogni ipotesi, al padre lavoratore in alternativa alla madre consenziente,
per l’assistenza al figlio nel suo primo anno di vita (sentenza
n. 179 del 1993).
8.―
Da quanto sinteticamente esposto risulta che gli istituti dell’astensione dal
lavoro, obbligatoria e facoltativa, ora denominati congedi, e quello dei
riposi giornalieri oggi non hanno più l’originario necessario collegamento
con la maternità naturale e non hanno più come esclusiva funzione la
protezione della salute della donna ed il soddisfacimento delle esigenze
puramente fisiologiche del minore, ma sono diretti anche, come questa Corte
ha già più volte affermato nelle motivazioni delle sentenze suindicate, ad
appagare i bisogni affettivi e relazionali del bambino per realizzare il pieno
sviluppo della sua personalità.
Ciò
che più rileva, ai fini della soluzione della presente questione, è la piena
coincidenza tra la
ratio
delle
decisioni di questa Corte appena richiamate e l’attività del legislatore.
Questi, nel momento in cui ha esteso misure previste in caso di filiazione
naturale alla filiazione adottiva ed all’affidamento ha avvertito che l’età
del minore diveniva un elemento, se non trascurabile, certamente secondario,
mentre veniva in primo piano il momento dell’ingresso del minore nella
famiglia adottiva o affidataria, in considerazione delle difficoltà che tale
ingresso comporta sia riguardo alla personalità in formazione del minore,
soggetta al trauma del distacco dalla madre naturale o a quello del soggiorno
in istituto, sia per i componenti della famiglia adottante o affidataria.
9.―
Il d. lgs. n. 151 del 2001, il cui articolo 45 θ censurato dal Tribunale
di Ivrea, ha coordinato e razionalizzato tutta la disciplina di tutela delle
lavoratrici e dei lavoratori connessa alla maternità e paternità dei figli
naturali, adottivi e in affidamento, nonché le misure di sostegno economico
alla maternità e alla paternità (art. 1), ribadendo, nei casi di adozione e
di affidamento, la rilevanza del momento dell’ingresso del minore nella
famiglia per quanto concerne la fruizione dei congedi (v. art. 26, comma 2;
art. 31; art. 36, comma 2, del medesimo decreto).
Le
difese della Presidenza del Consiglio e dell’INPS, pur convenendo
sull’evoluzione e sul mutamento di funzioni che gli istituti a sostegno della
maternità e della paternità hanno avuto nel corso degli ultimi decenni,
sostengono che quello dei riposi giornalieri conserva pur sempre un
collegamento con le necessità connesse alla prima età del minore, come
sarebbe dimostrato dall’art. 41 del d. lgs. n. 151 del 2001, secondo cui la
durata dei riposi è raddoppiata in caso di parto plurimo.
Tale
tesi non può essere accolta.
I
riposi giornalieri, una volta venuto meno il nesso esclusivo con le esigenze
fisiologiche del bambino, hanno la funzione, come si è detto, di soddisfare i
suoi bisogni affettivi e relazionali al fine dell’armonico e sereno sviluppo
della sua personalità. Essi, pertanto, svolgono una funzione omogenea a
quella che assolvono i congedi e, più specificamente, i congedi parentali.
Ora, per questi il legislatore ha ritenuto rilevante, in caso di adozione o
di affidamento, il momento dell’ingresso del minore nella famiglia,
considerando l’età del minore, peraltro diversamente disciplinata a seconda
delle varie ipotesi di adozioni o affidamenti (per l’adozione internazionale
v. gli artt. 27 e 37 del d. lgs. n. 151 del 2001), esclusivamente come un
limite alla fruizione dei benefici. Ne consegue che restringere il diritto ai
riposi per gli adottanti e gli affidatari al primo anno di vita del bambino
non soltanto è intrinsecamente irragionevole, ma è anche in contrasto con il
principio di eguaglianza, perché l’applicazione agli adottanti ed agli
affidatari della stessa formale disciplina prevista per i genitori naturali
finisce per imporre ai primi ed ai minori adottati o affidati un trattamento
deteriore, attesa la peculiarità della loro situazione.
Nè può
indurre a diversa conclusione la richiamata disposizione sulla disciplina dei
riposi in caso di parto plurimo, poiché non solo le esigenze fisiche ma anche
quelle affettive richiedono un tempo maggiore quando debbono essere
soddisfatte riguardo a più persone.
Deve
essere, quindi, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 45 del d.
lgs. n. 151 del 2001, per contrasto con 1’art. 3 della Costituzione, nella
parte in cui non prevede che i riposi giornalieri di cui agli articoli 39, 40
e 41 dello stesso decreto si applichino, in caso di adozione o di
affidamento, entro il primo anno dall’ingresso effettivo del minore nella
famiglia.
Rientra
nella discrezionalità del legislatore stabilire eventualmente dei limiti alla
fruizione dei riposi correlati all’età del minore adottato o affidato.
Restano
assorbiti gli altri profili di censura.
PER
QUESTI MOTIVI
LA
CORTE COSTITUZIONALE
riuniti
i giudizi,
dichiara
l’illegittimità
costituzionale dell’art. 45, comma 1, del decreto legislativo 26 marzo 2001
n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e
sostegno della maternità e paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8
marzo 2000, n. 53), nella parte in cui prevede che i riposi di cui agli artt.
39, 40 e 41 si applichino, anche in caso di adozione e di affidamento,
"entro il primo anno di vita del bambino" anziché "entro il
primo anno dall’ingresso del minore nella famiglia";
dichiara
l’inammissibilità della
questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 della legge 30 dicembre
1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), e dell’art. 6 della legge 9
dicembre 1977, n. 903 (Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di
lavoro), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 37 della Costituzione, dal
Tribunale di Trieste con l’ordinanza di cui in epigrafe.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 26 marzo 2003.
Riccardo
CHIEPPA, Presidente
Francesco
AMIRANTE, Redattore
Depositata
in Cancelleria l'1 aprile 2003.