Direzione
Centrale
Sviluppo
e Gestione risorse umane
Ai
Dirigenti centrali e
periferici
Ai
Direttori delle Agenzie
Ai
Coordinatori generali,
centrali e
Roma, 29
Luglio 2002
periferici dei Rami
professionali
Al
Coordinatore generale
Medico legale e
Dirigenti Medici
Circolare
n. 139
e,
per conoscenza,
Al
Presidente
Ai
Consiglieri di
Amministrazione
Al
Presidente e ai Membri del
Consiglio
di Indirizzo e Vigilanza
Al
Presidente e ai Membri del
Collegio dei Sindaci
Al
Magistrato della Corte dei
Conti delegato
all’esercizio del
controllo
Ai
Presidenti dei Comitati
amministratori
di fondi, gestioni e casse
Al
Presidente della
Commissione centrale
per l’accertamento e la
riscossione
dei
contributi agricoli unificati
Ai
Presidenti
dei Comitati regionali
Allegati 6
Ai
Presidenti
dei Comitati provinciali
OGGETTO:
Disciplina in materia di tutela e sostegno della maternità e della
paternità - Decreto legislativo
26.3.2001 n. 151 - Art. 14 del CCNL 14.2.2001 ad integrazione del CCNL
16.2.1999 - Normativa di riferimento per i dipendenti dell’INPS
SOMMARIO
:
Disciplina in materia di tutela e sostegno della maternità e della
paternità - D. Lgs. n. 151/2001
Controlli Prenatali Congedo di
Maternità o di PaternitàCongedo Parentale Riposi giornalieriCongedo per
malattia del bambinoGenitori Adottivi o AffidatariTutela della Maternità e
della Paternità di figli portatori di handicap
Con il Decreto Legislativo n.
151 del 26.3.2001, emanato in attuazione di quanto previsto dall’art.15 della
L. n. 53 dell’8.3.2000, è stata conferita organicità e sistematicità, nella
forma di Testo Unico (T.U.), alla disciplina in materia di tutela e sostegno
della maternità e paternità, oggetto di precedenti disposizioni, fra le quali
la L. n. 1204/1971, il D.P.R. n. 1026/1976, la L. n. 903/1977 e la L.
n.53/2000.
Si ritiene pertanto utile
fornire un sintetico quadro riepilogativo della
vigente normativa per i
dipendenti INPS
, anche con specifico riferimento alle previsioni per il
comparto Enti Pubblici non economici di cui all’art.14 del CCNL 14.2.2001,
che sostituiscono quanto previsto all’art. 19, comma 8, del CCNL 6.7.1995 e
che risultano applicabili ai sensi di quanto previsto dall’art.1 del T.U. in
oggetto. La presente normativa trova applicazione anche per il personale
appartenente alla categoria dei dirigenti.
Il T.U. 151/2001 disciplina i
congedi, i riposi, i permessi e la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori,
in relazione alla maternità e paternità di figli naturali, adottivi e in
affidamento, nonché il relativo sostegno economico.
Trova quindi conferma
l’impostazione intrapresa con la L. n. 53/2000 e volta ad estendere al
lavoratore padre i benefici già riconosciuti alla lavoratrice madre, per una
migliore gestione del nucleo familiare e delle esigenze ad esso correlate,
evidenziandosi quindi il ruolo insostituibile di entrambi i genitori nella
crescita dei figli.
La tutela della maternità
trova inoltre conferma nell’art.3 del T.U., che vieta qualsiasi
discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda:
-
l’accesso al lavoro
indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il settore o
il ramo di attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale, laddove
la discriminazione sia attuata attraverso il riferimento allo stato
matrimoniale o di famiglia o di gravidanza;
-
le iniziative in
materie di orientamento, formazione, perfezionamento e aggiornamento
professionale, per quanto concerne sia l’accesso sia i contenuti;
-
la retribuzione, la
classificazione professionale, l’attribuzione di qualifiche e mansioni e la
progressione nella carriera.
Nel T.U. trova inoltre
conferma la nuova terminologia di riferimento in materia, ai fini di una
maggiore sistematicità nella trattazione delle diverse fattispecie.
La seguente tabella evidenzia
le modifiche intervenute rispetto ai precedenti termini in uso:
Precedente terminologia Nuova
terminologia
Astensione obbligatoria Congedo
di maternità/paternità
Astensione facoltativa Congedo
parentale
Permessi per
allattamento Riposi
giornalieri
Permessi per malattia del bambino Congedi
per malattia del figlio
1. Controlli Prenatali
Ai sensi dell’art. 14 del
T.U. e dell’ art. 19 comma 9 del CCNL 1995, le lavoratrici gestanti hanno
diritto a permessi retribuiti per l’effettuazione di esami prenatali,
accertamenti clinici ovvero visite mediche specialistiche che debbano essere
eseguiti durante l’orario di lavoro.
Per la fruizione di tali
permessi deve essere presentata alla
sede di appartenenza apposita istanza e successivamente la relativa
documentazione giustificativa attestante la data e l’orario di effettuazione
degli esami.
Tali permessi non configurano
assenza per malattia, né sono riconducibili alla normativa in materia di
permessi per visite specialistiche di cui ai Messaggi n. 449 del 26.2.2002 e
n. 666 del 21.3.2002.
2.
Congedo di maternità o di paternità
Per congedo di maternità (già
“astensione obbligatoria”) si intende il periodo di interdizione obbligatoria
delle lavoratrici madri dal lavoro.
In termini generali, è
vietato adibire al lavoro le donne:
a)
durante i due mesi
precedenti la data presunta del parto;
b)
ove il parto avvenga
oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto;
c)
durante i tre mesi
dopo il parto (precisandosi che il computo decorre dal giorno successivo a
quello del parto);
d)
durante gli ulteriori
giorni non goduti prima del parto, qualora il parto sia avvenuto in data
anticipata rispetto a quella presunta. Tali giorni sono aggiunti al periodo
di congedo di maternità post partum.
Rispetto alla precedente
impostazione, tuttavia, la legge riconosce alla lavoratrice la facoltà di
utilizzare un margine di flessibilità nella decorrenza del congedo rispetto
alla data presunta del parto.
Ferma restando cioè la durata
complessiva di cinque mesi del congedo di maternità (salvo quanto previsto al
punto b), le lavoratrici possono astenersi dal lavoro con decorrenza fino ad
un mese dalla data presunta del parto e prolungando il periodo di congedo
fino ai quattro mesi successivi alla nascita del bambino.
In particolare, richiamando
al riguardo la Circolare n. 152 del 4.9.2000, si precisa che nel prevedere la
facoltà di astenersi dal lavoro fino ad un mese dalla data presunta del
parto, la norma ha individuato in un mese il periodo minimo obbligatorio di
astensione prima della predetta data presunta del parto. Pertanto, il periodo
di due mesi di cui alla lett. a) sopra indicata, può ridursi - a seguito
della flessibilità in argomento – da un minimo di un giorno ad un massimo di
un mese.
Per esercitare tale opzione
dovrà essere inoltrata alla Sede di appartenenza, prima della scadenza del
settimo mese di gravidanza, e cioè prima dell'inizio del normale periodo di
congedo obbligatorio, una richiesta scritta (v. all. 1) corredata delle
seguenti certificazioni:
-
quella del medico
specialista ostetrico-ginecologo del Servizio Sanitario Nazionale o con esso
convenzionato, contenente la data presunta del parto;
-
quella del «medico
competente» ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di
lavoro, ossia del medico nominato dal datore di lavoro ai sensi del d.lgs. n.
626/94, laddove la situazione lavorativa richieda una sorveglianza sanitaria
nei termini di cui alla citata norma.
Il Ministero del Lavoro
(Circ. n. 43/2000) ha ritenuto
esercitabile l’opzione al ricorrere dei seguenti presupposti:
a)
assenza di condizioni
patologiche che configurino situazioni di rischio per la salute della
lavoratrice e/o del nascituro al momento della richiesta;
b)
assenza di un
provvedimento di interdizione anticipata dal lavoro da parte della competente
Direzione provinciale del lavoro;
c)
venire meno delle cause che abbiano in precedenza
portato ad un provvedimento di interdizione anticipata nelle prime fasi di
gravidanza;
d)
assenza di
pregiudizio alla salute della lavoratrice e del nascituro derivante dalle
mansioni svolte, dall’ambiente di lavoro e/o dall’articolazione dell’orario di lavoro previsto; nel caso
venga rilevata una situazione pregiudizievole, alla lavoratrice non potrà comunque essere consentito, ai
fini dell’esercizio dell’opzione, lo spostamento ad altre mansioni ovvero la
modifica delle condizioni e dell’orario di lavoro;
e)
assenza di
controindicazioni allo stato di gestazione riguardo alle modalità per il
raggiungimento del posto di lavoro.
In particolare, il medico
specialista, sulla base delle informazioni fornite dalla lavoratrice
sull’attività svolta (rese ai sensi del DPR n. 445/2000), dovrà esprimere una
valutazione circa la compatibilità delle mansioni effettuate dalla dipendente
e delle relative modalità di svolgimento ai fini della tutela della salute
della gestante e del nascituro.
La flessibilità del periodo
di congedo ante partum richiesta e già accordata secondo le descritte
modalità, può essere successivamente oggetto di totale o parziale rinuncia su
espressa richiesta della lavoratrice o, implicitamente, per fatti
sopravvenuti (ad esempio, di tipo morboso, che facciano quindi venir meno il
requisito sub a), ampliando di nuovo quindi il periodo di astensione
lavorativa fino al massimo di due mesi.
Si precisa che in caso di
parto gemellare non è previsto il diritto ad ulteriori periodi di congedo di maternità.
La lavoratrice è altresì
tenuta a presentare, entro trenta giorni, il certificato di nascita del
figlio (ovvero la dichiarazione sostitutiva, ai sensi dell’art. 46 del D.P.R.
445/2000)
2.1 Interdizione anticipata dal lavoro
Il Servizio ispettivo del
Ministero del Lavoro può disporre l’interdizione anticipata dal lavoro delle
lavoratrici in stato di gravidanza, fino ai due mesi antecedenti la data
presunta del parto, per uno o più periodi, la cui durata è determinata dal
Servizio medesimo.
Tale provvedimento è adottato
su istanza della lavoratrice al Servizio ispettivo, sulla base, se del caso,
di un accertamento medico dei competenti Organi del Servizio Sanitario
Nazionale, per i seguenti motivi:
-
gravi complicanze
della gestazione;
-
preesistenti forme
morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza;
-
condizioni di lavoro
o ambientali ritenute pregiudizievoli per la salute della donna e del
bambino;
-
impossibilità di
adibire la lavoratrice ad altre mansioni, nel caso in cui la stessa svolga
mansioni di trasporto e sollevamento pesi o lavori pericolosi, faticosi ed
insalubri.
2.2 Parto prematuro
Ai sensi di quanto previsto
dall’art.14, comma 4, del CCNL 14.2.2001, in caso di parto prematuro, alle
lavoratrici spettano comunque i mesi di congedo di maternità. Cioè, qualora
il parto abbia luogo in data anticipata rispetto a quella presunta, i giorni
non goduti dei due mesi di congedo ante partum sono aggiunti ai
mesi di congedo post partum.
La lavoratrice è ovviamente tenuta anche in questo caso a presentare,
entro trenta giorni, il certificato attestante la nascita del figlio ovvero la dichiarazione sostitutiva, ai
sensi dell’articolo 46 del D.P.R. n. 445/2000.
Lo stesso art. 14 del CCNL 2001 ha inoltre previsto che la
lavoratrice madre possa richiedere, qualora il figlio nato prematuro abbia
necessità di un periodo di degenza presso una struttura ospedaliera pubblica
o privata, che il restante periodo di congedo obbligatorio post partum ed il
restante periodo ante partum non fruito possano decorrere, in tutto o in
parte, dalla data di effettivo rientro a casa del figlio (
sospensione del
congedo di maternità post partum
).
La richiesta viene accolta se avallata da idonea certificazione
medica dalla quale risulti che le condizioni di salute della lavoratrice
consentono il rientro al lavoro.
2.3 Assenze per malattia
determinata da gravidanza
In relazione a quanto
previsto dall’art. 20 del D.P.R. 1026/1976 – ancora in vigore ai sensi degli
artt. 85 e 87 del T.U. - i periodi di assistenza sanitaria per malattia
determinata da gravidanza o da puerperio non sono computabili agli effetti
del c.d. periodo di comporto.
Si applicano comunque le
vigenti disposizioni in materia di controllo dello stato di malattia della
lavoratrice.
2.4 Interruzione della
gravidanza
L’art. 19 del T.U. prevede che l’interruzione della gravidanza,
spontanea o volontaria, nei casi previsti dagli articoli 4, 5 e 6 della L. n.
194/1978, sia considerata a tutti gli effetti come malattia e, pertanto, come
tale da inquadrarsi nell’ambito di applicazione del citato art. 20 del D.P.R.
n. 1026/1976.
Si precisa che ai sensi dell’art.12 dello stesso D.P.R. 1026/1976,
l’interruzione spontanea, o nei casi di legge, della gravidanza che si verifichi
prima del 180° giorno dall’inizio della gestazione, si considera aborto. E’
considerata invece come parto a tutti gli effetti l’interruzione spontanea o
terapeutica della gravidanza successiva al 180° giorno dall’inizio della
gestazione. A tali fini si presume che il concepimento sia avvenuto 300
giorni prima della data presunta del parto indicata nel certificato medico di
gravidanza.
Nei casi in cui l’interruzione di gravidanza sia da considerarsi come
parto, la lavoratrice non potrà essere adibita al lavoro nei tre mesi
successivi l’evento.
3.
Congedo di paternità
Il diritto al congedo di
paternità è riconosciuto al padre lavoratore esclusivamente nei seguenti casi
di impossibilità di assistenza del figlio da parte della madre:
a)
morte o grave
infermità della madre che renda impossibile l’assistenza materna al minore
nei primi mesi di vita;
b)
abbandono da parte
della madre;
c)
affidamento esclusivo
del bambino al padre.
Si tratta cioè di specifiche
situazioni in cui il figlio appena nato non può usufruire dell’assistenza
materna e nelle quali, quindi, il dovere di assistenza si trasferisce al
padre lavoratore.
Ad esempio, nell’ipotesi di
parto prematuro, al ricorrere di uno dei citati casi di impossibilità di
assistenza da parte della madre, il padre lavoratore può usufruire del
periodo di congedo obbligatorio non ancora utilizzato dalla madre lavoratrice
al momento del parto, ivi compresa la parte residua del congedo ante partum.
Il padre lavoratore che
intenda avvalersi del congedo di paternità deve produrre alla sede di
appartenenza l’idonea certificazione relativa alle condizioni sopra elencate.
In caso di abbandono del figlio da parte della madre, il padre lavoratore ne
rende dichiarazione ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. n. 445/2000 (dichiarazione
sostitutiva di atto notorio).
3.1 Trattamento economico dei
congedi di maternità e paternità
Ai sensi dell’art. 14, comma
3, del CCNL 14.2.2001, nel periodo di congedo di maternità o paternità spetta
l’intera retribuzione fissa mensile, nonché il trattamento economico
accessorio che compete nei casi di malattia di durata superiore a 15 giorni
consecutivi o in caso di ricovero ospedaliero e per il successivo periodo di
convalescenza post-ricovero, di cui all’art.21, 7° comma, del CCNL 6.7.1995.
Tale periodo di congedo è
computato nell’anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli
relativi alla tredicesima mensilità e alle ferie.
4.
Congedo parentale
Il quadro normativo di cui al
D. Lgs 151/2001 ha confermato altresì le significative innovazioni in materia
di congedo parentale (“astensione facoltativa”) introdotte dagli interventi
legislativi di modifica dell’originaria impostazione della L. n. 1204/1971.
Un primo elemento di novità,
disciplinato dall’art. 32 del T.U., è l’innalzamento del limite di età del
bambino per la fruizione dei congedi parentali; in particolare, i predetti
congedi spettano per ogni bambino nei primi suoi otto anni di vita (fino al
giorno, compreso, dell’ottavo compleanno) e possono essere usufruiti:
-
dalla madre
lavoratrice, trascorso il periodo di congedo di maternità;
-
dal padre lavoratore,
dopo la nascita del figlio.
Il nuovo quadro normativo
riconosce inoltre a ciascun genitore un proprio diritto, individuale ed
autonomo, ad un periodo di congedo parentale, indipendentemente dalla
condizione lavorativa (dipendente, libero professionista, etc.) o meno
dell’altro genitore.
In sostanza la possibilità di
fruire dei congedi è riconosciuta anche se l’altro genitore non ne ha
diritto. Viene quindi meno la condizione che vincolava la fruibilità
dell’astensione facoltativa da parte del padre alla circostanza che la madre
fosse lavoratrice e che non si avvalesse del congedo stesso.
I predetti periodi di congedo
parentale possono quindi essere fruiti dai due genitori anche
contemporaneamente. Il padre lavoratore può utilizzarli:
- in
concomitanza con l’utilizzo del congedo di maternità da parte della madre
lavoratrice;
- se la
madre decide di non riprendere l’attività lavorativa e chiede anch’essa il
congedo parentale;
-
se la madre
usufruisce dei riposi giornalieri ex art. 39 del T.U. (già c.d. “per
allattamento” - v. più avanti).
Relativamente alla durata del
congedo la norma prevede un limite massimo complessivo riferito alla coppia
dei genitori pari a 10 mesi, così da poter ampliare il periodo di assistenza
al bambino nei primi mesi di vita.
Nell’ambito di tale limite
ciascun genitore può usufruire di un periodo di congedo, continuativo o
frazionato, non superiore a 6 mesi.
Al fine di incentivare la
fruizione del congedo da parte del padre lavoratore per una più equa
distribuzione dei compiti familiari fra i due genitori, l’art. 32 del T.U.
prevede un “bonus” di un mese di astensione per il padre, nel caso in cui
usufruisca di un periodo di congedo parentale non inferiore a tre mesi. In
tal caso, il limite individuale per il padre stesso viene elevato a 7 mesi ed
il limite di coppia ad 11 mesi (nell’ipotesi di utilizzo dei 7 mesi da parte
del padre, la madre lavoratrice potrà quindi astenersi dal lavoro per un
massimo di 4 mesi).
Il genitore “solo” - a
seguito di morte di un genitore, abbandono del figlio da parte di uno dei
genitori, affidamento del figlio ad uno solo dei genitori risultante da un
provvedimento formale) - ha diritto ad un periodo, continuativo o frazionato,
non superiore a 10 mesi, anche se si tratta del padre.
Per l’elevazione del periodo
fino a 10 mesi, va presa in considerazione anche la situazione di genitore
“solo” che si sia verificata successivamente alla fruizione del proprio
periodo massimo (6 mesi per la madre, 6 o 7 mesi per il padre), ma nel
calcolo dei 10 mesi vanno computati tutti i periodi in precedenza fruiti da
entrambi i genitori.
Il congedo parentale può
essere utilizzato in modo continuativo o frazionato (in mesi o giorni). Come
previsto dall’art. 14, comma 7, del CCNL 14.2.2001, nei periodi di congedo
parentale si computano anche gli eventuali giorni festivi o non lavorativi
che ricadano al loro interno.
A proposito della
frazionabilità si precisa che tra un periodo e l'altro di fruizione del
congedo parentale è necessaria -
perché non vengano computati nel periodo di congedo parentale i giorni
festivi, i sabati e le domeniche -
l'effettiva ripresa del lavoro, requisito non rinvenibile né nel caso di domanda di fruizione del
congedo in parola dal lunedì al venerdì (settimana corta) senza ripresa del lavoro il lunedì della
settimana successiva a quella di fruizione del congedo, né nella fruizione di
ferie.
Ciò non significa comunque che immediatamente dopo un periodo di
congedo non possano essere ammessi periodi di ferie (o di fruizione di altri
congedi o permessi), cosicché sia
necessario continuare nella fruizione di congedo parentale. Significa
invece che due differenti frazioni di congedo parentale intervallate
da un periodo feriale o altro tipo di congedo, debbono comprendere ai fini
del calcolo del numero di giorni riconoscibili come congedo parentale anche i
giorni festivi e i sabati (settimana
corta) cadenti subito prima o subito dopo le ferie (o altri tipi di congedo o
permessi). In proposito si veda la Circ. n. 134382/17 del
26.1.1982 e n. 82/2001.
Anche a seguito di
precisazione fornita dal Dipartimento della Funzione Pubblica, si precisa che
in caso di parto gemellare o plurigemellare i periodi di congedo parentale
spettano per ciascun figlio, risultando quindi moltiplicati per il numero dei
gemelli. Si fa riserva di ulteriori precisazioni in merito ai riflessi di
tipo retributivo, sui quali il Dipartimento della Funzione Pubblica è stato espressamente
interessato.
Ai sensi
dell’art. 14, comma 8, del CCNL 14.2.2001, ai fini della fruizione, anche
frazionata, del congedo parentale, la lavoratrice madre o il lavoratore padre
sono tenuti a presentare alla sede di appartenenza la relativa domanda di
norma 15 giorni prima della data di decorrenza del periodo di astensione
(tale procedura trova applicazione anche nel caso di proroga dell’originario
periodo di astensione) (v. all. 2), indicando:
-
la durata;
-
i dati concernenti lo stato di
maternità o paternità;
-
la dichiarazione dell’altro genitore circa
gli eventuali periodi già utilizzati allo stesso titolo per il medesimo
evento e la sua situazione lavorativa.
Le attestazioni sono rese ai sensi dell’art.47 del D.P.R. n.
445/2000.
In presenza di particolari e
comprovate situazioni personali che rendano impossibile il rispetto della
citata procedura, la domanda può essere presentata entro le quarantotto ore
precedenti l’inizio del periodo di astensione dal lavoro.
4. 1 Trattamento economico dei
congedi parentali
Il dipendente che usufruisca di
congedi parentali ha diritto ad un trattamento retributivo per un periodo
massimo complessivo, tra i genitori, di 6 mesi.
Tale trattamento spetta
fino al compimento del terzo anno di vita del bambino ed è determinato come
segue:
-
l’intera retribuzione
fissa mensile (esclusi i compensi per lavoro straordinario, le indennità per
prestazioni disagiate, pericolose o dannose per la salute) per i primi 30
giorni, da considerarsi complessivamente per la coppia ove entrambi i
genitori risultino titolati a tale trattamento, che costituisce un regime
contrattuale (art. 14, comma 5, CCNL 14.2.2001) più favorevole rispetto ai
termini del Testo Unico;
-
il 30% della
retribuzione fissa mensile come sopra precisata, per i restanti 5 mesi.
I 30 giorni retribuiti per intero possono essere
riconosciuti, nel caso di mancata fruizione nel primo anno da parte di
entrambi i genitori, anche nel secondo o nel terzo anno di vita del bambino.
Si precisa che nel caso in cui il coniuge del
dipendente pubblico sia dipendente di un’azienda privata e fruisca
parzialmente del congedo parentale retribuito al 30%, gli eventuali primi 30
giorni richiesti anche successivamente dal dipendente pubblico sono da retribuirsi
al 100%.
Per i periodi di congedo parentale usufruiti dopo il
compimento del terzo anno di vita del bambino ed entro l’ottavo anno, non è
prevista alcuna retribuzione, anche nell’ipotesi in cui non si sia fruito in
precedenza di congedi al medesimo titolo.
Spetta invece
il 30% della retribuzione fissa dopo i primi 6 mesi ed entro l'ottavo
anno di vita del bambino se il reddito individuale dell’interessato è
inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione a carico
dell’AGO (v. al riguardo Circ. n. 59 del 25.3.2002). Il dipendente dovrà a
tal fine produrre apposita autocertificazione attestante che il proprio
reddito annuo non superi il predetto limite.
Ai sensi del citato art. 14, comma 5 del CCNL
14.2.2001, i primi 30 giorni di congedo parentale interamente retribuiti sono
utili ai fini dell’anzianità di servizio, della tredicesima mensilità e delle
ferie. I restanti periodi sono invece utili ai fini della sola anzianità di
servizio, non risultando computabili per le ferie e la tredicesima mensilità.
Per i
periodi di congedo parentale parzialmente retribuiti fino al terzo anno di
vita del bambino e per quelli non
retribuiti usufruiti oltre il terzo anno di età del bambino e fino
all’ottavo, sussiste il diritto - per
la parte differenziale mancante alla misura intera o per l'intera
retribuzione mancante - alla contribuzione figurativa da accreditare secondo
le disposizioni di cui all'art. 8 della legge 23 aprile 1981 n. 155 (T.U.
art. 35 comma 3).
5. Riposi giornalieri
La lavoratrice madre ha diritto nel corso del
primo anno di vita del bambino a due periodi giornalieri di riposo (della
durata di un’ora ciascuno) anche cumulabili; tali periodi si riducono ad uno
solo nel caso in cui l’orario giornaliero di lavoro risulti inferiore a sei
ore.
Tali
periodi (in precedenza
definiti permessi “per allattamento”)
sono estesi dall’art. 40 del T.U. in argomento anche al padre lavoratore,
nei seguenti casi:
a)
nel caso in cui il
figlio sia affidato solo al padre;
b)
in alternativa alla
madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga;
c)
nel caso in cui la
madre non sia una lavoratrice dipendente (ad esempio, libera professionista,
collaboratrice, etc.);
d)
in caso di morte o di
grave infermità della madre.
Nel caso a) i riposi
giornalieri spettano indipendentemente dalla circostanza che la madre svolga
o meno attività lavorativa. Nei casi b) e c), il diritto ai riposi
giornalieri non sussiste laddove la madre non svolga attività lavorativa.
In particolare, se la madre è
una lavoratrice dipendente, il padre lavoratore ha la possibilità di fruire
dei riposi giornalieri solo nel caso in cui la madre vi rinunci espressamente
e riprenda effettivamente l’attività lavorativa.
Ne consegue che il padre
lavoratore non può usufruire dei riposi giornalieri nel caso in cui la madre
si trovi in congedo di maternità o parentale; la madre lavoratrice può invece
utilizzare i riposi giornalieri anche in coincidenza con il periodo di
congedo parentale del padre.
La madre lavoratrice può
inoltre usufruire dei permessi giornalieri anche nell’ipotesi di sospensione
temporanea del congedo di maternità (v. p. 2.2), ai sensi dell’art. 14, comma
4, CCNL 14/2/2001, prevista per la fattispecie del parto prematuro.
Per la fruizione dei riposi
giornalieri da parte del lavoratore padre nelle descritte ipotesi a), b), c),
d) deve essere prodotta apposita richiesta (v. all. 4), nonché la seguente
documentazione:
- ipotesi a): copia del provvedimento del
giudice o di altro atto formale da cui risulti l’affidamento esclusivo del
bambino al padre;
-
ipotesi b):
dichiarazione di rinuncia della madre;
-
ipotesi c):
dichiarazione della madre relativa alla sua situazione lavorativa;
-
ipotesi d): relativa
certificazione.
Ai sensi dell’art. 41 del T.U.,
i periodi di riposo spettanti durante il primo anno di vita del bambino sono
raddoppiati in caso di parto plurimo (non c’è quindi correlazione con il
numero dei gemelli).
Le ore aggiuntive (due o una,
qualora l’orario sia pari, rispettivamente, ad almeno 6 ore o a meno di 6
ore) possono essere utilizzate anche dal padre lavoratore, nel presupposto
che la madre non ne usufruisca, o viceversa. Nel caso in cui la madre non
usufruisca dei riposi giornalieri perché in congedo di maternità o parentale,
il padre ha diritto a due ore di permesso.
Ad esempio, considerando il
caso in cui entrambi i genitori osservino un orario superiore a 6 ore, le ore
di permesso potranno essere così ripartite:
Madre Padre
4
0
3 1
2 2
1
3
0 4 (2, se la madre
in cong. mat. o parent.)
Per usufruire delle ore
aggiuntive di riposo giornaliero in caso di parto plurimo, il lavoratore
padre è inoltre tenuto ad allegare alla relativa richiesta una dichiarazione
della madre attestante il non utilizzo delle ore aggiuntive medesime.
Tutte le attestazioni sono
rese ai sensi dell’art.47 del D.P.R. n. 445/2000 e il dipendente è tenuto a
rendere tempestivamente nota ogni eventuale successiva modifica ai dati
precedentemente comunicati.
I riposi giornalieri sono retribuiti
per intero e sono utili ai fini dell’anzianità di servizio e delle ferie.
6.
Congedo per malattia del figlio
L’art. 47 del T.U. definisce
la disciplina relativa ai congedi per malattia del figlio, confermando
l’estensione, fino agli otto anni di vita del bambino, del limite di
fruizione degli stessi.
In particolare, fino a tre
anni le assenze possono essere illimitate, mentre oltre i tre anni e fino
agli otto è fissato un limite individuale di cinque giorni lavorativi
all’anno per ciascun genitore. Quest’ultimo limite non può essere superato,
anche nel caso in cui uno dei due genitori non usufruisca in tutto o in parte
dei propri cinque giorni e deve intendersi riferito a ciascun figlio
(spettano quindi periodi di cinque giorni per ognuno dei bambini di età
superiore ai tre anni e fino agli otto).
Entrambi i genitori hanno
quindi diritto, alternativamente, di astenersi dal lavoro in caso di malattia
del bambino. Il congedo spetta al genitore richiedente anche qualora l’altro
genitore non ne abbia titolo o non ne possa usufruire perché già in congedo
parentale.
Ai sensi dell’art 47 del
T.U., i congedi per malattia del figlio non sono soggetti alle disposizioni
sul controllo della malattia del lavoratore, non potendosi quindi richiedere
l’accertamento medico di controllo nei confronti del bambino.
In caso di ricovero
ospedaliero del figlio, il genitore può richiedere l’interruzione del decorso
di un eventuale periodo di ferie in godimento, per usufruire dei congedi in
argomento. Ai predetti congedi si applica inoltre quanto già precisato per i
congedi parentali, relativamente alla fruizione continuativa di un periodo
che includa al suo interno giorni festivi o non lavorativi.
Ai sensi dell’art. 14, comma
6, del CCNL 14.2.2001 per i primi trenta giorni di assenza in ciascuno dei
primi tre anni di vita del bambino spetta l'intera retribuzione fissa mensile
nonché il trattamento accessorio al pari delle assenze a titolo di congedo di
maternità, fermo restando che tale limite deve essere inteso in senso
cumulativo fra i due genitori. Il
quantitativo annuo di trenta giorni è inoltre utile ai fini del computo delle
ferie, della tredicesima e dell’anzianità di servizio.
Si fa riserva di un successivo messaggio in merito alle modalità
operative per la corresponsione del suddetto trattamento accessorio.
Gli ulteriori periodi di
assenza usufruiti allo stesso titolo fino al compimento del terzo anno di età
del bambino, nonché i cinque giorni annui spettanti per la malattia dei
bambini con più di tre anni e fino agli otto, non sono invece retribuiti e
incidono in termini riduttivi sulle ferie e sulla tredicesima mensilità,
mentre sono comunque utili ai fini dell’anzianità di servizio.
Da un punto di vista
previdenziale, per periodi di assenza
non retribuiti fino al terzo anno di età del bambino si applicano gli stessi
criteri precisati per i periodi di congedo parentale non retribuiti,
sussistendo il diritto alla contribuzione figurativa secondo le disposizioni
di cui all'art. 8 della legge 23 aprile 1981 n.155 (T.U. art. 35 comma 3).
Ai fini della fruizione del
congedo per malattia del figlio (v. all. 3), la lavoratrice madre e il
lavoratore padre sono tenuti a presentare una dichiarazione sostitutiva (ai
sensi dell’art. 47 del D.P.R. n. 445/2000) attestante che l’altro genitore
non sia in congedo negli stessi giorni per il medesimo motivo. La richiesta
deve inoltre essere corredata dal certificato di malattia del bambino
rilasciato da un medico specialista del Servizio Sanitario Nazionale o con esso
convenzionato.
7.
Genitori adottivi e affidatari
Il D. Lgs n. 151/2001
riconosce ai genitori adottivi o affidatari gli stessi diritti dei genitori
naturali in materia di tutela della maternità e della paternità.
La normativa presenta le
uniche differenze nella decorrenza dei diversi diritti in materia, in
relazione alla necessità di tenere conto della data di effettivo ingresso del
bambino nel nucleo familiare e della sua età a quel momento.
7.1 Congedo di maternità
Alla lavoratrice che abbia
avuto in adozione o in affidamento un bambino di età non superiore ai 6 anni
all’atto dell’adozione o dell’affidamento medesimi, spetta il congedo di
maternità per il periodo dei tre mesi successivi all’effettivo ingresso del
bambino nella famiglia (art. 26 T.U., comma 1 e 2).
Nel caso di adozione e di
affidamento preadottivo internazionale, il congedo di maternità spetta
anche se il minore adottato o
affidato abbia superato i sei anni e sino al compimento della maggiore età.
Per l’adozione e l’affidamento preadottivo internazionale, la lavoratrice ha
altresì diritto a fruire di un congedo non retribuito di durata
corrispondente al periodo di permanenza nello Stato straniero; tale durata è
certificata dall’Ente autorizzato che ha ricevuto l’incarico di curare la
procedura di adozione (art. 27 T.U., comma 1 e 2).
7.2 Congedo di paternità
Tale congedo (art. 31, T.U.)
spetta al padre adottivo o affidatario secondo le stesse modalità del congedo
di maternità, a condizione che non sia stato chiesto dalla lavoratrice o nei
casi di inutilizzo parziale o totale già esaminati precedentemente (grave
infermità, decesso, abbandono) .
7.3 Congedo parentale
I genitori adottivi o
affidatari hanno diritto ad usufruire del congedo parentale nei primi otto anni
di vita del bambino alle medesime condizioni e con lo stesso
trattamento economico previsti per i
genitori naturali (art. 36 1° c.
T.U.).
Il limite di età della
retribuibilità del congedo di
cui all'art. 34 (3 anni) è
in questo caso elevato a sei
anni (art. 36 2° c. T.U.) entro i quali al
genitore richiedente spetta:
- l'intera retribuzione fissa per i primi 30 giorni (v. p. 4.1);
- il 30% della retribuzione fissa mensile per i restanti 5 mesi.
Tuttavia se il bambino ha un'età
compresa fra 6 e 12 anni, fermo restando il
trattamento economico di cui sopra,
la fruizione del congedo potrà comunque essere esercitata entro 3 anni
dall'ingresso del minore in famiglia .
Nel caso di adozioni e
affidamenti preadottivi internazionali la durata del congedo parentale è
certificata dall’ente autorizzato che ha ricevuto l’incarico di curare la
procedura di adozione (art. 37 T.U.).
7.4 Congedi per riposi
giornalieri
Anche ai genitori adottivi o
affidatari spettano i riposi giornalieri in caso di adozione o affidamento
entro il primo anno di vita del bambino (art. 45 T.U.).
7.5 Congedo per malattia del
bambino
Entrambi i genitori
affidatari o adottivi hanno diritto, alternativamente, di astenersi dal lavoro
durante le malattie del bambino con le stesse modalità previste per i
genitori naturali (art. 50 T.U.).
Nella fattispecie, tuttavia,
il diritto ad assentarsi per la durata della malattia del bambino è
illimitato fino a sei anni di età. Restano invece ferme le altre previsioni
(retribuibilità primi trenta giorni per ciascun anno fino al terzo anno di
vita, cinque giorni lavorativi non retribuiti per ciascun anno di vita oltre
il sesto e fino all’ottavo).
Qualora all’atto
dell’adozione o dell’affidamento (anche internazionale) il bambino abbia
un’età compresa fra i sei e i dodici anni, il congedo non retribuito per
malattia spetta nei primi tre anni dall’ingresso del bambino stesso in
famiglia, nel limite annuo dei cinque giorni lavorativi.
8.
Tutela della maternità e paternità di figli portatori di handicap
Il T.U. in oggetto ha
recepito le innovazioni apportate alla disciplina in materia di agevolazioni
a favore dei genitori di figli con handicap, la cui gravità sia accertata ai
sensi dell’art.4 della legge n. 104/1992 (al riguardo, v., da ultimo, Circ.
n. 133 del 17.7.2000).
In particolare tale specifica
disciplina concerne il prolungamento del congedo parentale, o in alternativa
i riposi giornalieri, i permessi mensili ex art.33, L. n. 104/1992 e il
congedo parentale straordinario ex art.80, L. n. 388/2000.
8.1 Prolungamento del congedo
parentale
La lavoratrice madre o, in
alternativa, il lavoratore padre di bambino disabile grave nei termini sopra
precisati ha diritto a prolungare il congedo parentale parzialmente
retribuito fino a tre anni di età del bambino (art. 33 e 34, T.U.), a
condizione che non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti
specializzati. L’intero periodo di prolungamento è retribuito al 30%.
Fermo restando che il normale
periodo di congedo parentale può essere fruito fino all’ottavo anno di età
del bambino, si considera che il periodo di prolungamento abbia inizio dal
termine teorico in cui si concluderebbe il normale congedo parentale
spettante al richiedente il prolungamento stesso (termine che equivale a nove
mesi dalla nascita per la madre, sette per il padre, rinviandosi per maggiori
precisazioni alla citata circ. n. 133/2000).
8.2 Riposi giornalieri
In luogo del prolungamento
del periodo di congedo parentale e fino al compimento del terzo anno di vita
del bambino disabile grave, sempre a condizione che non sia ricoverato a
tempo pieno presso istituti specializzati, i genitori, alternativamente,
possono usufruire delle due ore di permesso giornaliero retribuito (un’ora,
se l’orario di lavoro giornaliero è inferiore a sei ore) di cui all’art. 33,
comma 2, della legge n. 104/1992.
Durante l’utilizzo di detti
riposi orari da parte di un genitore, l’altro può fruire del normale congedo
parentale. L’alternanza è cioè relativa al solo prolungamento del congedo
parentale e non al congedo parentale di cui all’art. 32 del T.U.
8.3 Permessi mensili
Successivamente al compimento
del terzo anno di vita del figlio disabile grave, a condizione che non sia
ricoverato a tempo pieno, la lavoratrice madre o, in alternativa, il
lavoratore padre hanno diritto ai tre giorni mensili di permesso retribuito
di cui all’art.33, comma 3 della legge n. 104/1992, fruibili anche
frazionatamente entro il limite delle 18 ore mensili.
Tali giornate di permesso
possono essere utilizzate anche nel caso in cui l’altro genitore sia assente
a titolo di congedo parentale o di congedo per malattia del figlio o non ne
abbia diritto.
I permessi mensili spettano
anche successivamente al raggiungimento della maggiore età del figlio con
handicap grave laddove sussista convivenza con il figlio o, in assenza di
convivenza, che l’assistenza al figlio sia contemporaneamente continuativa ed
esclusiva.
Al riguardo, si richiama
quanto precisato nella citata circolare n. 133 del 17.7.2000:
-
“la continuità
consiste nell’effettiva assistenza del soggetto handicappato, per le sue
necessità quotidiane, da parte del lavoratore, genitore o parente del
soggetto stesso, per il quale vengono richiesti i giorni di permesso.
Pertanto la continuità di assistenza non è individuabile nei casi di
oggettiva lontananza delle abitazioni, lontananza da considerare non
necessariamente in senso spaziale, ma anche semplicemente temporale”;
-
“la esclusività va
invece intesa nel senso che il lavoratore richiedente i permessi deve essere
l’unico soggetto che presta assistenza alla persona handicappata: la
esclusività stessa non può perciò considerarsi realizzata quando il soggetto
handicappato non convivente con il lavoratore richiedente, risulti convivere,
a sua volta, in un nucleo familiare in cui sono presenti lavoratori che
beneficiano dei permessi per questo stesso handicappato, ovvero soggetti non
lavoratori in grado di assisterlo”.
I riposi giornalieri
e i permessi mensili di cui al presente capitolo sono utili ai fini
dell’anzianità di servizio e delle ferie (art. 19, comma 6, CCNL 1995) ed
incidono invece in termini riduttivi sulla tredicesima mensilità.
8.4 Congedo parentale
straordinario
L’art. 42, comma 5,
del T.U. ha armonizzato le previsioni di cui all’art. 80, comma 2, della
legge n. 388/2000 e all’art.4 della legge n. 53/2000 concernenti il congedo
per eventi e cause particolari.
In particolare, ai
genitori o, in caso di loro decesso, ai fratelli o sorelle conviventi di
soggetti portatori di handicap in situazione di gravità accertata dalla
competente commissione medica da almeno cinque anni, spettano,
alternativamente, congedi straordinari – continuativi o frazionati - per la
durata massima complessiva di due anni nell’arco della vita lavorativa.
Tali congedi per
gravi motivi familiari sono connessi alla cura di figli disabili gravi,
ancorché maggiorenni, e spettano anche qualora l’altro genitore non ne abbia
diritto. Tuttavia se il figlio è maggiorenne, il genitore lavoratore ha
diritto al congedo se:
-
il figlio convive con
i genitori (circolare INPS n. 138 del 10 luglio 2001);
-
il figlio non convive
con i genitori e l’assistenza gli viene prestata dal lavoratore richiedente
secondo i predetti requisiti di continuatività ed esclusività.
Durante i periodi di
congedo parentale straordinario entrambi i genitori non possono fruire dei
benefici di cui all’art. 33 della legge n.104/1992.
Il diritto ai riposi e ai
congedi spetta anche in caso di adozione e di affidamento di soggetti con
handicap in situazione di gravità.
La previsione di cui
all’art 42 del T.U. costituisce norma di maggior favore rispetto alla
previsione generale dei congedi non retribuiti per eventi e cause particolari
di cui all’art 4, comma 2, della legge n. 53/2000. Nella fattispecie,
infatti, il lavoratore richiedente ha diritto a percepire un’indennità
corrispondente all’ultima retribuzione, e il periodo medesimo è coperto da
contribuzione figurativa (vedi circ. n.85 del 26.4.2002). L'indennità e la
contribuzione figurativa spettano fino ad un importo complessivo massimo di
36.151,98 Euro (valore valido per il 2000, da rivalutarsi annualmente secondo
l’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati a
partire dall’anno 2002 – vedi circ. n. 58 del 25.3.2002, e per maggiori
precisazioni si rinvia alla circ. n. 64 del 15.3.2001).
I predetti periodi di
congedo parentale straordinario vengono concessi secondo le medesime modalità
applicate per i periodi di aspettativa per motivi personali, sussistendo
comunque il diritto a fruire del congedo stesso entro sessanta giorni dalla
richiesta.
* *
*
Per eventuali precisazioni o
chiarimenti si prega di contattare l’Area Normativa e Gestione Rapporto di
Lavoro della Direzione Centrale Sviluppo e Gestione Risorse Umane (nn.
Telefonici 06.5905 / 4268 – 3734 – 4860 - 4859 - 4602 ).
IL VICE DIRETTORE GENERALE
PRAUSCELLO
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