Istituto Nazionale della Previdenza Sociale
Circolare numero 8 del 17-1-2003.htm
Prestazioni economiche di maternità di cui al D. Lgs. n. 151 del 26/03/2001 (T. U. sulla maternità). Chiarimenti.
Direzione
Centrale
Prestazioni
a Sostegno del Reddito
Ai
Dirigenti centrali e
periferici
Ai
Direttori delle Agenzie
Ai
Coordinatori generali,
centrali e
Roma, 17
Gennaio 2003
periferici dei Rami
professionali
Al
Coordinatore generale
Medico legale e
Dirigenti Medici
Circolare
n. 8
e,
per conoscenza,
Al
Commissario Straordinario
Al
Vice Commissario
Straordinario
Al
Presidente e ai Membri del
Consiglio
di Indirizzo e Vigilanza
Al
Presidente e ai Membri del
Collegio dei Sindaci
Al
Magistrato della Corte dei
Conti delegato
all’esercizio del
controllo
Ai
Presidenti dei Comitati
amministratori
di fondi, gestioni e casse
Al
Presidente della
Commissione centrale
per l’accertamento e la riscossione
dei
contributi agricoli unificati
Ai
Presidenti
dei Comitati regionali
Allegati 1
Ai
Presidenti
dei Comitati provinciali
OGGETTO:
Prestazioni economiche di maternità di cui al D. Lgs. n. 151 del
26/03/2001 (T. U. sulla maternità).
Chiarimenti.
SOMMARIO
:
1.
La situazione di “genitore solo” è
riscontrabile anche nel caso di non riconoscimento del figlio da parte
dell’altro genitore.
2.
Il padre non ha diritto ai riposi
giornalieri (c.d. per allattamento) se la madre non è lavoratrice.
3.
Distinzione tra “affidamento” e
“inserimento” dei minori ai fini delle prestazioni economiche di maternità
e di paternità.
4.
La domanda di flessibilità è accoglibile
anche se presentata oltre il 7° mese di gravidanza, purché le previste attestazioni
del medico specialista siano state acquisite dalla lavoratrice nel corso
del 7° mese di gravidanza.
5.
La malattia insorta durante il congedo
parentale o dopo la fine dello stesso è
indennizzabile secondo
le regole ordinarie. La malattia insorta durante il congedo di maternità
non è indennizzabile. I periodi di malattia che si verifichino durante il
congedo parentale vanno considerati neutri ai fini del complessivo periodo
di congedo parentale spettante.
6.
Carattere ordinatorio del termine di 30 giorni
previsto per la presentazione del certificato di nascita o dichiarazione sostitutiva.
7.
L’indennità per congedo parentale è
erogabile, in caso di adozione e affidamento, entro 3 anni dall’ingresso in
famiglia del minore.
8.
La norma secondo cui, in caso di parto
gemellare o plurigemellare, ciascun genitore ha diritto a fruire del
congedo parentale, per ogni nato, è applicabile anche in caso di
adozioni/affidamenti plurimi.
9.
Non è richiesta la verifica della
convalida delle dimissioni volontarie,
ai fini della corresponsione
dell’ indennità di
maternità/paternità.
10.
Il congedo di paternità con indennità
all’80 % spetta anche quando la
madre, nelle ipotesi di cui all’art. 28 del T.U., non sia (o non sia stata) una lavoratrice.
11.
Retribuzione di riferimento ai fini
della determinazione dell’indennità per congedi parentali.
12.
Il licenziamento per giusta causa
intervenuto durante il congedo per
maternità non esclude l’indennizzabilità del congedo stesso.
13.
Requisito dei 26 contributi settimanali
in mancanza di assicurazione contro la disoccupazione.
Con la circ. n. 109 del 6.6.2000
sono state date disposizioni attuative della legge n. 53 del 8 marzo 2000 in
materia di maternità, con particolare riguardo alla astensione facoltativa,
ai riposi orari, e alla astensione obbligatoria (flessibilità, parto
prematuro, astensione del padre con indennità all’80%). Com’è noto,
successivamente alla legge 53/2000, al fine di conferire omogeneità e sistematicità
alle norme in materia di sostegno della maternità e della paternità, come
previsto dall’art. 15 della stessa legge, è stato emanato il D. Lgs.
26.3.2001, n. 151 (“Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di
tutela e sostegno della maternità e della paternità”….), entrato in vigore il
27.4.2001.
Con la presente
si forniscono ulteriori precisazioni sull’argomento (per quanto riguarda le
lavoratrici autonome si rinvia alla circ. n. 136 del 26.7.2002).
1)
“Genitore solo”
Ai sensi
dell’art. 32, comma 1, lettere a) e b) del T.U., la madre lavoratrice ed il
padre lavoratore hanno diritto al godimento di un periodo individuale massimo
di congedo parentale (astensione facoltativa) pari, rispettivamente, a 6 mesi
e a 7 mesi. Ai sensi della lett. c) del medesimo comma “qualora vi sia un
solo genitore” il periodo è elevato
fino a un massimo di 10 mesi.
La situazione di
“genitore solo” è riscontrabile, oltre che nei casi di morte dell’altro
genitore o di abbandono del figlio o di affidamento esclusivo del figlio ad
un solo genitore (casi già indicati nella circ. 109 citata),
anche nel caso di non riconoscimento del
figlio da parte di un genitore
.
Nell’ipotesi di
non riconoscimento del figlio da parte del padre, la madre richiedente il
maggior periodo di congedo parentale, dovrà rilasciarne apposita
dichiarazione di responsabilità; e ciò, anche qualora dalla certificazione
anagrafica risulti che il cognome del bambino è quello della madre. Una
analoga dichiarazione dovrà essere fornita dal padre richiedente in caso di
non riconoscimento del figlio da parte della madre.
La situazione di
“ragazza madre” o di “genitore
single
”
non realizza
di per sé
la
condizione di “genitore solo”: deve infatti risultare anche il non
riconoscimento dell’altro genitore. Analogamente dicasi per la situazione di
genitore separato: nella sentenza di separazione deve risultare che il figlio
è affidato ad uno solo dei genitori.
Si sottolinea,
peraltro, che gli ulteriori mesi riconoscibili al “genitore solo” sono
indennizzabili subordinatamente alle condizioni del proprio reddito, anche
qualora siano fruiti entro tre anni
di età del figlio.
La situazione di
“genitore solo” viene meno con il riconoscimento del figlio da parte
dell’altro genitore, circostanza che, si rammenta, deve essere portata a
conoscenza sia dell’INPS che del datore di lavoro. E’ ovvio che il
riconoscimento interrompe la fruizione del maggior periodo di congedo
parentale concesso al genitore inizialmente considerato “solo” ed è ovvio,
altresì, che il maggior periodo di congedo, già fruito in tale qualità,
determina la riduzione del periodo di congedo spettante all’altro. In
proposito si rammenta che il periodo di congedo fruibile tra i due genitori
è, in via ordinaria, di 10 mesi e che l’elevazione a 7 mesi a favore del
padre (con conseguente totale, tra i due, di un massimo di 11 mesi) è
prevista solo nel caso in cui il padre abbia
già fruito
di un periodo
di congedo non inferiore a 3 mesi: tanto comporta, ad esempio, che se la
madre abbia goduto, come “genitore solo” (quale era da considerare fino al
riconoscimento del figlio da parte del padre) di un periodo di 8 mesi, il
padre non potrà mai arrivare ad un periodo di tre mesi di congedo (1).
2)
Riposi
giornalieri (c.d. per allattamento).
A chiarimento di
quanto disposto nella circ. 109/2000, si conferma che la madre ha diritto ai
riposi giornalieri di cui all’art. 10 della legge 1204/71 (ora art. 39 del
T.U.) durante il congedo parentale del padre.
Non è, invece,
possibile che il padre utilizzi i riposi di cui all’art. 13 della legge
53/2000 (ora art. 40 del T.U.) durante il congedo di maternità e/o parentale
della madre, come pure nei casi in cui la madre non si avvale dei riposi in
quanto assente dal lavoro per cause che determinano una sospensione del
rapporto di lavoro (es.: aspettative o permessi non retribuiti, pause
lavorative previste nei contratti a part-time verticale di tipo settimanale,
mensile, annuale).
Si ricorda che in
caso di parto plurimo, invece,
le ore
aggiuntive
di cui all’art. 41 del T.U. possono essere utilizzate dal
padre anche durante il congedo di maternità parentale della madre lavoratrice
dipendente.
Se la madre è
lavoratrice autonoma
(artigiana,
commerciante, coltivatrice diretta o colona, imprenditrice agricola,
parasubordinata, libera professionista), il padre può fruire dei riposi dal
giorno successivo a quello finale del periodo di trattamento economico
spettante alla madre dopo il parto e sempre che la madre (qualora si tratti
di commerciante, artigiana, coltivatrice diretta o colona, imprenditrice
agricola) non abbia chiesto di fruire ininterrottamente, dopo il suddetto
periodo, del congedo parentale, durante il quale, come sopra detto, è
precluso al padre il godimento dei riposi giornalieri.
Se la
madre non
è
lavoratrice,
il padre lavoratore non ha diritto ai riposi
giornalieri per allattamento. Non ha diritto, come pure se la madre è una
lavoratrice autonoma, neanche alle ore che il citato art. 41 riconosce al
padre, in caso di parto plurimo, come “aggiuntive” rispetto alle ore previste
dall’art. 39 (vale a dire quelle fruibili dalla madre), per l’evidente
impossibilità di “aggiungere” ore quando la madre non ha diritto ai riposi
giornalieri.
Il diritto del padre
ai riposi in questione, infatti, continua ad essere “derivato” da quello
della madre, a differenza del diritto del padre al congedo parentale che, in
virtù delle più recenti disposizioni di legge, ha acquistato una propria
autonomia e indipendenza rispetto alla sussistenza o meno del diritto della
madre.
Un diritto
“autonomo” del padre ai riposi giornalieri è previsto solo nelle ipotesi di
cui alle lettere a), c), d) dell’art. 40 del T.U..
3)
Affidamento e
inserimento dei minori.
La distinzione
tra “affidamento” e “inserimento” dei minori, rilevabile dall’art. 2, comma
2, della legge 149 del 28.3.2001, è da tenere presente non solo ai fini delle
provvidenze previste in favore dei genitori di disabili gravi (v. circ. 138 del 10.7.2001,
par. 1, 11° e 12° cpv.), ma anche ai fini delle prestazioni economiche di
maternità e di paternità.
Pertanto,
l’inserimento del minore in “comunità di tipo familiare” non è equiparabile
all’ affidamento.
4)
Flessibilità del
congedo di maternità.
La circ. 109/2000, contenente le prime
istruzioni applicative in materia di flessibilità del congedo di maternità
(già art. 12 della legge 53/2000, ora art. 20 del D. Lgs. 151/2001), è stata
integrata dalle disposizioni della circ. 152 del 4.9.2000,
sulla quale si forniscono alcuni chiarimenti.
La domanda di
flessibilità, tendente ad ottenere l’autorizzazione a continuare l’attività lavorativa durante l’ottavo mese di gravidanza (in
tutto o in parte), ferma restando la durata complessiva del congedo di
maternità, è accoglibile anche qualora sia presentata oltre il 7° mese di gravidanza (peraltro, sempre
entro il limite della prescrizione annuale, decorrente dal giorno successivo
al periodo di congedo dopo il parto che, in questi casi, risulta superiore ai
normali 3 mesi), purché le previste attestazioni del ginecologo del S.S.N. o
con esso convenzionato e del medico aziendale, siano state
acquisite dalla lavoratrice nel corso del
7° mese di gravidanza.
Quanto precede
nel presupposto che la lavoratrice abbia continuato a lavorare nel periodo in
questione.
Se le
attestazioni suddette sono state acquisite dopo il 7° mese di gravidanza, la
domanda è accoglibile solo per l’eventuale residuo di giorni decorrenti dal
rilascio delle attestazioni.
Per i giorni in
cui la lavoratrice si è avvalsa della flessibilità senza esserne formalmente
autorizzata (attraverso le attestazioni dei medici sopra indicati),
l’indennità di maternità non è
erogabile ai sensi dell’art. 6, comma 2, della legge n. 138/1943 in quanto,
per tali giorni, la lavoratrice ha percepito o ha diritto a percepire la
retribuzione dal datore di lavoro; i suddetti giorni,
pur non potendo essere recuperati
dalla lavoratrice dopo il
parto, quali giorni di congedo per maternità, devono essere comunque
conteggiati ai fini della durata complessiva del congedo stesso.
Si precisa,
infine, che la domanda della lavoratrice che, pur essendo stata autorizzata
alla flessibilità, e, quindi, allo svolgimento di attività lavorativa durante
l’ottavo mese di gravidanza, chiede di fruire in questo stesso mese del
congedo parentale per un altro figlio, può essere accolta. In ogni caso, il
congedo di maternità spetterà alla suddetta lavoratrice per tutta la sua
prevista durata complessiva (2).
5)
Malattia, congedo
parentale, congedo di maternità.
a) Malattia e congedo parentale
.
In merito alla
sussistenza o meno del diritto all’indennità di malattia nell’ipotesi di
malattia insorta durante il congedo parentale o dopo la conclusione dello
stesso si fa presente quanto segue.
L’assenza dal
lavoro per cause (come il congedo parentale) legate non ad una “sospensione”
del rapporto di lavoro ma ad una semplice inesigibilità della relativa
prestazione lavorativa non configura, agli effetti erogativi della indennità
di malattia, una sospensione del rapporto di lavoro.
Tanto comporta
che il periodo di protezione assicurativa (60 gg. o 2 mesi), previsto per le
prestazioni di malattia dall’art. 30 del C.C.N. 3.1.1939, decorre dal giorno
immediatamente successivo al termine finale del periodo di assenza dal lavoro
correlato ad una delle cause di cui trattasi.
Ne consegue che
per la malattia della lavoratrice madre (o del lavoratore padre) insorta
durante la fruizione
del congedo
parentale, anche oltre 60 gg. dall’inizio del congedo stesso (che, come è
noto, è frazionabile), il periodo di protezione assicurativa non inizia a
decorrere e la malattia stessa, debitamente notificata e documentata, deve
essere indennizzata (in misura intera), ove ne ricorrano i presupposti,
secondo i limiti e le modalità previsti dalla relativa normativa, ovviamente
nella presunzione, salvo diversa indicazione del genitore interessato, che
quest’ultimo intenda sospendere la fruizione del congedo parentale.
Per la malattia
della lavoratrice madre (o del lavoratore padre)
insorta dopo la conclusione del periodo di congedo parentale
, a
cui faccia seguito una mancata ripresa dell’attività, configurabile quale
“sospensione del rapporto di lavoro”, il periodo di protezione assicurativa
decorre, secondo le regole ordinarie, dal giorno successivo alla fine del
congedo parentale, da considerare periodo neutro.
Per quanto
riguarda il diritto al congedo parentale, si precisa che anche i periodi di
malattia indennizzati o indennizzabili, che si verifichino durante il congedo
parentale, devono essere considerati neutri ai fini del complessivo periodo
di congedo parentale spettante.
Terminata la
malattia, quindi, la fruizione del congedo parentale, salvo diverse
indicazioni e comunicazioni del genitore interessato, può riprendere con o
senza erogazione dell’indennità del 30% che, com’è noto, compete per
complessivi 6 mesi entro 3 anni di età del bambino.
Ai fini del
calcolo del periodo massimo di congedo parentale (6 mesi per la madre, 7 mesi
per il padre, 11 mesi fra i due genitori), durante il quale si siano
verificati periodi di malattia, vanno tenute presenti le indicazioni fornite
per i casi in cui frazioni di congedo siano intervallate da ferie (v. circ.
n. 82 del 2.4.2001,
punto 1, ultimo capoverso).
Pertanto, ad
esempio, se la malattia è iniziata il lunedì immediatamente successivo al
venerdì del congedo parentale, ed è terminata il venerdì immediatamente
precedente il lunedì in cui è ripreso il congedo, le domeniche ed i sabati
della settimana corta, cadenti subito prima e subito dopo la malattia, devono
essere conteggiati come giorni di congedo parentale.
b) Malattia e congedo di maternità
La malattia
insorta durante il congedo di maternità (astensione obbligatoria) non è
indennizzabile, in quanto l’indennità per congedo di maternità è comprensiva
di ogni altra indennità spettante per malattia (art. 22, comma 2, del T.U.).
Anche il congedo
di maternità – analogamente a quello parentale (v. lett. a)- è da considerare
periodo “neutro” ai fini del computo della c.d. “protezione assicurativa”, in
caso di malattia insorta successivamente.
6)
Termini per la
presentazione della documentazione.
L’art. 21 del
T.U. stabilisce che la lavoratrice è tenuta a presentare, entro trenta
giorni, il certificato di nascita del figlio o dichiarazione sostitutiva (ex
lege 445/2000).
Tale articolo
assorbe la disposizione già contenuta nell’art. 11 della legge 53/2000
relativa alla presentazione, entro 30 giorni, del certificato attestante la
data del parto in caso di parto prematuro, nel senso che il termine di trenta
giorni per la presentazione della suddetta documentazione è ora previsto in
tutti i casi di parto (anche non prematuro).
Ciò premesso, si
fa presente che il termine in questione è da ritenere di carattere
ordinatorio, non essendone stata prevista la perentorietà, né l’applicazione
di sanzioni in caso di sua inosservanza.
Il mancato
rispetto del termine, quindi, non fa venire meno il diritto alla prestazione;
potrebbe avere riflessi soltanto nell’ambito contrattuale del rapporto di
lavoro.
7)
Congedo parentale
in caso di adozione o di affidamento.
Si ritiene
opportuno riassumere i criteri applicativi delle disposizioni del T.U., che,
peraltro, confermano quasi integralmente quelli già indicati nella circ.
109/2000, riguardanti il congedo parentale in caso di adozione o di
affidamento.
L’art.36, comma
2, del T.U. stabilisce che il limite di età del bambino (3 anni) previsto
dall’art. 34, comma 1, per la corresponsione dell’indennità al 30%,
indipendentemente dalle condizioni di reddito e per un periodo di congedo
parentale massimo complessivo tra i genitori di sei mesi, sia elevato a 6
anni di età in caso di adozione o di affidamento. Stabilisce anche che, in
ogni caso, il congedo parentale
può
essere fruito
nei primi tre anni dall’ingresso del minore in famiglia.
Ciò significa che
l’indennità è riconoscibile,
indipendentemente
dalle condizioni di reddito
, per complessivi sei mesi fino al compimento
dei 6 anni di età del bambino adottato o affidato, purché il congedo
parentale sia richiesto
entro i tre
anni dall’ingresso del bambino in famiglia
.
Significa anche
che, dopo il compimento dei 6 anni di età e fino al compimento degli 8 anni
(limite di età uguale a quello previsto per i figli non adottati o affidati),
i periodi di congedo ulteriori rispetto a quelli fruiti fino ai 6 anni, ferma
restando la possibilità di astensione dal lavoro, sono indennizzabili
subordinatamente alle condizioni reddituali.
Il comma 3 dello
stesso art. 36 stabilisce che, qualora all’atto dell’adozione o
dell’affidamento, il minore abbia una età compresa fra i 6 e i 12 anni, il
congedo parentale
è fruito
nei
primi tre anni dall’ingresso in famiglia. Il tenore letterale della norma
lascia intendere che, per il minore adottato o affidato ad una età fra i 6 e
i 12 anni, il congedo parentale e la relativa indennità possano essere
riconosciuti solo se richiesti
entro
tre anni dall’ingresso
.
Non sembra
prevista, in altre parole, la possibilità di beneficiare né del congedo, né
della indennità, neppure subordinatamente alle condizioni di reddito, qualora
il congedo sia chiesto dopo tre anni dall’ingresso in famiglia del minore
adottato o affidato tra i 6 e i 12 anni di età.
In caso di
adozione o di affidamento preadottivo internazionale si applica la
disposizione prevista
dall’art. 36 del
T.U..
8)
Congedo parentale
in caso di parto gemellare o plurigemellare
Come già
precisato nel messaggio n. 569 del 27/06/2001, che ad ogni buon conto si
allega, in caso di parto gemellare o plurigemellare, ciascun genitore ha
diritto a fruire,
per ogni nato,
del
numero di mesi di congedo parentale previsti dall’art. 32 del T.U..
La norma suddetta
trova applicazione anche nell’ipotesi
di
adozioni ed affidamenti
di minori (anche non fratelli) il cui ingresso in
famiglia sia avvenuto nella stessa data.
9)
Dimissioni
L’art. 55 del T.U. stabilisce che le dimissioni volontarie presentate
dalla lavoratrice durante il periodo di gravidanza o dal lavoratore che abbia
fruito del congedo di paternità, fino al compimento di un anno di vita del
bambino o entro un anno dall’ingresso del minore in famiglia, devono essere
convalidate dal Servizio ispettivo del Ministero del Lavoro, competente per
territorio
.
La
previsione della convalida risponde unicamente a finalità di tutela del
rapporto di lavoro della lavoratrice madre o del lavoratore padre.
La legge, infatti, subordina espressamente
alla convalida la risoluzione del rapporto di lavoro e non anche il diritto
all’indennità di maternità/paternità, alla cui corresponsione si potrà
procedere indipendentemente dalla verifica della convalida suddetta.
Con
l’occasione si fa presente che detta verifica non è richiesta neppure ai fini
del riconoscimento del diritto
all’indennità di disoccupazione che, com’è noto, spetta anche in caso di
dimissioni volontarie intervenute durante il periodo previsto per il divieto
di licenziamento o entro un anno dall’ingresso del minore nella famiglia
adottante o affidataria (v. circ. 128 del 5.7.2000 e
circ. 143 del
16.7.2001), indennità di disoccupazione che frequentemente costituisce il
presupposto per la erogabilità dell’indennità per congedo di maternità.
Infatti,
se il congedo di maternità ha inizio trascorsi 60 giorni dalla risoluzione
del rapporto di lavoro e la lavoratrice, all’inizio del congedo di maternità,
fruisce o ha comunque un diritto teorico all’indennità di disoccupazione,
alla stessa è erogabile l’indennità giornaliera di maternità, anziché quella
di disoccupazione (art. 24, comma 4
del T.U.).
Si
rammenta, ad ogni buon conto, che il
diritto o meno all’indennità di disoccupazione è ininfluente quando il
congedo di maternità inizia entro 60 giorni dalla risoluzione del rapporto di
lavoro (per dimissioni o licenziamento), periodo entro il quale è senz’altro
riconoscibile il diritto all’ indennità giornaliera di maternità (art. 24,
comma 2 del T.U.).
10)
Indennità di paternità
L’art.
28 del T.U. riconosce al padre lavoratore il diritto al congedo di paternità
per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che
sarebbe spettata alla lavoratrice
madre, in caso di morte o di grave infermità della stessa ovvero di abbandono
del figlio da parte della madre, nonché in caso di affidamento esclusivo del
bambino al padre.
Il
tenore letterale della norma sembrerebbe escludere il diritto del padre al
congedo in questione nell’ipotesi in cui la madre non sia (o non sia stata)
lavoratrice.
Tuttavia,
la ”ratio” dell’astensione obbligatoria post- partum vuole garantire al
neonato, proprio nei primi tre mesi di vita, l’assistenza materiale ed
affettiva di un genitore (vedi sent. Corte Costituzionale n.1 del 19.1.1987).
Qualora, infatti, la richiesta del padre di fruire del
congedo di paternità venisse riconosciuta solo subordinatamente al fatto che
la madre sia o (sia stata) una lavoratrice, non solo si arrecherebbe un danno
al neonato, ma ciò risulterebbe in contrasto con l’ordinanza n. 144 del
16/4/1987 con cui la Corte Costituzionale ha stabilito a proposito della
suddetta sentenza n. 1/1987: ”
in luogo
di lavoratrice madre leggasi madre, lavoratrice o meno”.
Per tali ragioni, è da ritenere che, in tutti i casi
previsti dall’art. 28 del T.U., il padre lavoratore abbia un diritto autonomo
alla fruizione del congedo di paternità, correlato, quanto alla sola
durata, alla eventuale fruizione del
congedo di maternità da parte della madre (ovviamente lavoratrice). In tale
ipotesi, la durata del congedo di paternità è pari al periodo di astensione obbligatoria non fruito in tutto o in
parte dalla madre, compresi quindi i periodi di astensione obbligatoria
post-partum di maggiore durata conseguenti alla flessibilità e/o al parto
prematuro.
11)
Calcolo dell’indennità per congedi
parentali.
Agli
effetti della determinazione della misura dell’indennità per congedo
parentale si prende a riferimento la retribuzione media globale giornaliera
del mese o del periodo di paga quadrisettimanale immediatamente precedente a
quello nel corso del quale ha avuto inizio l’astensione dal lavoro.
Tuttavia,
nell’ipotesi in cui la lavoratrice fruisca del congedo parentale
immediatamente dopo il congedo di maternità (ipotesi praticabile anche senza
ripresa dell’attività lavorativa prima del congedo parentale), la
retribuzione da prendere a riferimento per il calcolo dell’indennità per
congedo parentale è quella del periodo mensile o quadrisettimanale scaduto ed
immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio il
congedo di maternità (senza
conteggiare i ratei di mensilità aggiuntive).
Laddove,
invece, dopo il congedo di maternità, la lavoratrice riprenda l’attività
lavorativa (anche per un solo giorno), si prende a riferimento, trattandosi
di prestazioni diverse, la retribuzione relativa a tale periodo di ripresa
dell’attività, ancorché questo cada nello stesso mese in cui ha avuto inizio
il congedo parentale.
In caso di
fruizione frazionata del congedo parentale, invece, si prende a riferimento
la retribuzione
del mese precedente
,
nonostante le frazioni siano intervallate da giorni di ripresa dell’attività.
Ovviamente
la retribuzione va divisa per il numero dei giorni lavorati o retribuiti,
eventualmente ridimensionati in caso di “settimana corta”.
12)
Sentenza della
Corte Costituzionale n. 405/2001.
Si rende noto che, con la sentenza
n. 405 del 3-14 dicembre 2001, la Corte Costituzionale ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, 1° comma, della legge 1204/71
nella parte in cui esclude la corresponsione della indennità di maternità
nell’ipotesi prevista dall’art. 2, lett. a) della medesima legge (vigente all’epoca
del procedimento instaurato davanti alla Corte).
Ha altresì dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 1, del D. Lgs. 151/2001,
nella parte in cui esclude la corresponsione dell’indennità di maternità
nell’ipotesi prevista dall’art. 54, comma 3, lett. a) del medesimo decreto
legislativo.
In attuazione della suddetta
sentenza, pertanto, il diritto alla indennità di maternità potrà essere
riconosciuto anche nei casi di
licenziamento
per giusta causa
che si verifichino durante i periodi di congedo di
maternità previsti dagli artt. 16 e
17 del T.U..
La presente disposizione è
applicabile alle fattispecie pregresse per le quali non sia intervenuta
prescrizione, decadenza o sentenza passata in giudicato.
13)
Requisito
contributivo in mancanza di assicurazione contro la disoccupazione.
Il comma 5 dell’art. 24 del T.U.
recita testualmente: “La lavoratrice, che si trova nelle condizioni indicate
nel comma 4, ma che non è in godimento della indennità di disoccupazione
perché nell’ultimo biennio ha effettuato lavorazioni alle dipendenze di terzi
non soggette all’obbligo dell’assicurazione contro la disoccupazione, ha
diritto all’indennità giornaliera di maternità, purché al momento dell’inizio
del congedo di maternità non siano trascorsi più di centottanta giorni dalla
risoluzione del rapporto di lavoro e, nell’ultimo biennio che precede il
suddetto periodo, risultino a suo favore, nell’assicurazione obbligatoria per
le indennità di maternità, ventisei contributi settimanali. ”.
Ciò, a differenza dell’art. 17
comma 4 della legge 1204/1971 (non più in vigore) che prevedeva per la
lavoratrice nelle medesime condizioni di cui al suddetto comma 5 dell’art. 24
ora vigente, il possesso di 26 contributi settimanali nell’assicurazione di
malattia.
Com’è noto, infatti, la norma della
legge 1204 era già divenuta non più attuale, essendo venuto meno, dal
1/1/1998, l’obbligo di versamento all’INPS (Ente subentrato agli Enti
assicuratori di malattia) dei contributi di malattia per il S.S.N..
Le Sedi, pertanto, dovranno
ricercare il requisito di cui
trattasi (26 contributi settimanali nell’ultimo biennio, sempre che non siano
trascorsi più di centottanta giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro),
nell’ambito della sola contribuzione di maternità.
Eventuali domande per congedo di
maternità avanzate da lavoratrici che siano state licenziate, ma che non
abbiano diritto alla indennità di disoccupazione, in quanto non soggette
all’obbligo assicurativo per la disoccupazione, potranno essere accolte, quindi,
subordinatamente alla verifica del suddetto requisito.
IL DIRETTORE GENERALE f.f.
PRAUSCELLO
Note
(1)
Esempio:
Congedo parentale già fruito come “genitore solo
”:
MADRE
4 mesi
5 mesi
6 mesi
6 mesi e 10 giorni
7 mesi
8 mesi
9 mesi
10 mesi
PADRE
4 mesi
5 mesi
6 mesi
7 mesi
7 mesi e 10 giorni
8 mesi
9 mesi
10 mesi
Congedo parentale fruibile
dall’altro genitore che successivamente ha riconosciuto il figlio:
PADRE
7
mesi
6
mesi
5
mesi
4
mesi e 20 giorni
4
mesi
2
mesi
1 mese
zero
MADRE
6
mesi
6
mesi
5
mesi
4
mesi
3
mesi e 20 giorni
3
mesi
2
mesi
1
mese
(2)
Si riportano a titolo esemplificativo alcuni casi, in cui l’inizio
dell’obbligo di astenersi dal lavoro sia fissato al 1° 11. 2002. Negli esempi
si ipotizza che il periodo di
flessibilità
richiesto sia pari al massimo
(e cioè corrispondente al mese di novembre
2002) e che non si verifichino eventuali prolungamenti del periodo di
astensione
post partum
dovuti a
“parto prematuro”:
Attestazioni sanitarie rilasciate
(datate)
Riconoscibilità della prestazione
a)
prima del 7° mese
di gravidanza (prima cioè
del 1° ottobre)
non
riconoscibilità
b)
nel corso del 7° mese
di gravidanza (e cioè
tra il 1° ottobre e 1° novembre 2002)
riconoscibilità
fino al termine del quarto mese dopo il parto
c)
11 novembre (
nel corso dell’8° mese
di
gravidanza)
riconoscibilità
dall’11 novembre e fino al 20° giorno del quarto mese dopo il parto
d)
successivamente al 1° dicembre (
dopo l’8° mese
di gravidanza)
riconoscibilità
solo per il mese precedente la data presunta del parto e per tre mesi
successivi al parto
Allegato
1
MESSAGGIO n. p. 2001/0005/000569
del 27 giugno 2001
DIREZIONE CENTRALE
PRESTAZIONI A SOSTEGNO
DEL REDDITO
Destinatari
Ai Direttori delle Agenzie
e, per conoscenza,
Ai
Direttori delle Sedi Regionali
OGGETTO:
Ulteriori periodi di
congedo parentale in caso di parto gemellare o plurigemellare.
Il D.
Lgs. n. 151 del 26.3.2001 contenente
il T.U. delle disposizioni legislative in materia di tutela della maternità e
della paternità (inviato a codeste Sedi, per una immediata conoscenza con il
Msg. n. 485 del 1.6.2001), stabilisce, all’art. 32, che ciascun genitore ha
diritto al congedo parentale per ogni bambino, nei suoi primi otto anni di
vita.
Di conseguenza, in caso di parto gemellare o
plurigemellare ciascun genitore ha diritto a fruire per
ogni nato
del
numero di mesi di congedo parentale previsti dallo stesso art. 32 (in
sintesi, per ciascun figlio, fino a 6 mesi per la madre, fino a 7 mesi per il
padre, nel limite complessivo di 10 o 11 mesi fra entrambi i genitori).
Le modalità di fruizione dei periodi ed i
criteri relativi al trattamento economico restano, quindi, quelli stabiliti
in applicazione della legge 53/2000 e riportati nella circ. 109 del 6.6.2000.
Il genitore che intenda avvalersi di
ulteriori periodi di congedo parentale per la presenza di due o più figli
gemelli dovrà presentare separate domande sul nuovo Mod. AST. FAC. (v. circ.
n. 103 del 11.5.2001),
predisposto per l’acquisizione delle informazioni necessarie al completo
esame delle domande.
Con l’occasione si precisa che per il parto
plurimo non è previsto, invece, il diritto ad ulteriori periodi di congedo di
maternità (astensione obbligatoria).
IL
DIRETTORE CENTRALE
ZICCHEDDU