Ricordato come “il più debole e brutale dei Barberini”, Taddeo (1603-1647), nipote di papa Urbano VIII, fu il solo dei tre discendenti a non essere destinato alla carriera ecclesiastica.
Alla morte del padre Carlo, Taddeo aveva ereditato numerosi titoli, tali da rendere il suo reddito annuo tra i più consistenti d’Italia, ma la sua ascesa accrebbe con il tempo: divenuto principe di Palestrina nel 1630, l’anno seguente venne investito da Urbano VIII della carica di prefetto di Roma, titolo spettante ai duchi della Rovere e rimasto vacante dopo la morte senza eredi di Francesco Maria II.
Il Barberini - grande mecenate ed estimatore d’arte – scelse di farsi ritrarre con le vesti prefettizie. Ciò assume un significato particolare, volto a celebrare ufficialmente la propria posizione sociale nella Roma seicentesca.
Taddeo veste orgoglioso i sontuosi abiti prefettizi: il mantello rosso con ricami in oro si gonfia in un’ampia voluta sul fianco, suggerendo un senso di tridimensionalità, accentuato dall’avanzamento della gamba sinistra che rompe illusionisticamente lo spazio pittorico. L’ abito da prefetto indossato da Taddeo, il cui confezionamento fu curato, tra gli altri, da Pietro da Cortona, richiama i modelli tradizionali, appositamente studiati e documentati anche mediante la riesumazione della salma dell’ultimo discendente dei della Rovere, sepolto con la veste e il copricapo prefettizi.
La particolare dovizia con cui sono rese le vesti e le insegne di potere sembra dovuta non tanto a una determinata scelta artistica, quanto piuttosto a una ferma volontà di affermazione sociale.