Le due tele Didone accoglie Ascanio e Enea e la Morte di Didone sono da ricondurre probabilmente alla mano di Giuseppe Bartolomeo Chiari, esponente del classicismo tardo barocco di derivazione marattesca.
Grande somiglianze stilistiche si colgono tra i due dipinti di proprietà dell’Inps e alcune opere di carattere mitologico eseguite dal Chiari; ma i rimandi più diretti alle storie virgiliane vanno ricercati nelle tipologie dei personaggi, spesso fedelmente riprodotti, nel trattamento ampio dei panneggi e nella solennità che caratterizza le composizioni, amplificata in queste due tele, dall’ambientazione delle scene. I dipinti, concepiti come pendant, illustrano due celebri episodi dell’Eneide con toni magniloquenti perfettamente in linea con la produzione pittorica di Chiari negli ultimi anni del Seicento.
L’episodio di Didone che accoglie Ascanio ed Enea (Eneide, I, 657-722) segue un impianto piramidale: la scena si apre all’osservatore seguendo un ritmo crescente, che ha il suo apice nella figura della regina. Didone è raffigurata nell’atto di ricevere i doni offerti da Enea per mano del figlio Ascanio. Il piccolo amorino che scaglia la sua freccia verso la regina, raffigurato nella parte superiore della composizione oltre a essere un rimando letterario alla narrazione virgiliana, costituisce una sorta di prologo della storia, e trova un puntuale corrispettivo nel putto raffigurato nella seconda tela dedicata all’episodio conclusivo della vicenda.
La scena della Morte di Didone (Eneide, IV, 642-705) è mossa da un pathos repentino che attraversa diagonalmente la composizione, trasmettendosi dall’uomo che irrompe nella scena sulla sinistra, alla figura di Anna, sorella di Didone (il cui gesto proteso ricorda quello di Apollo nel dipinto della Galleria Spada), fino ad arrivare al gruppo delle tra ancelle in secondo piano, il cui dolore composto e dismesso svela l’imminente e tragico destino della regina.