L’originaria incertezza sull’autore del dipinto, ritenuto in precedenza un’opera tarda di Francesco Guarino, è stata definitivamente superata a favore del Fracanzano per la presenza della firma, apposta tra le pagine spiegazzate del manoscritto su cui poggia la santa, e per le affinità stilistiche che accomunano questa ed altre opere del maestro pugliese.
L’impianto compositivo della tela tende a una monumentalità della figura della santa che rimanda al naturalismo classicheggiante di Massimo Stanzione (1518-1658), conforme ai modelli romani e a quelli del francese Simon Vouet (1590-1649).
Le vesti abbondanti e sontuose della giovane martire, degne di una regina orientale, amplificano la grandiosità della figura e la singolarità della sua posa; se non fosse per i due attributi iconografici propri della santa, la ruota che allude al martirio da cui fu miracolosamente salvata e la spada con cui fu poi decapitata, potremmo identificarla per i suoi calzari e la presenza di un manoscritto con una enigmatica sibilla.
La sottile ambiguità ricercata dall’artista, come per celare l’esatta identificazione del soggetto, si collega alle numerose ed incerte tradizioni leggendarie sulla figura della santa, la cui esistenza storica non trova precisi riscontri. Assimilata a partire dal IX secolo alla figura di Ipazia, filosofa pagana originaria di Alessandria, nota per la sua sapienza e uccisa nel 415 per volere di alcuni monaci fanatici, Caterina è ricordata dalle fonti agiografiche come una regina egiziana straordinariamente dotta, convertitasi al cristianesimo; voluta in sposa dall’imperatore Massenzio, fu da questi perseguitata e poi uccisa per non aver acconsentito alle nozze e abiurato alla propria fede.