Nato a Monopoli nel 1612, si trasferisce con la famiglia nel 1625 a Napoli, dove nel 32 sposa Giovanna, la sorella di Salvator Rosa. Nella città campana si forma insieme al fratello Cesare presso la bottega Josep de Ribera, detto anche lo Spagnoletto. La sua formazione viene inoltre completata dalla conoscenza del naturalismo di matrice caravaggesca. Le prime opere datate risalgono al 1635, si tratta di tele realizzate per la cappella di San Gregorio Armeno nella chiesa omonima a Napoli, raffiguranti Scene delle vite del santo, completate superiormente da due lunette raffiguranti Episodi del martirio del santo. La ricchezza dei riferimenti culturali fa ipotizzare che queste opere siano il punto d’incontro del riberismo con le più moderne correnti fiamminghe di indirizzo vandyckiano. Probabilmente Fracanzano può essere identificato con il cosiddetto Maestro del Gesù tra i dottori. In tale dipinto è possibile infatti individuare quella materia grumosa e densa, tipica della produzione giovanile del pittore. Per omogeneità di caratteri compositivi e per una totale adesione all’impasto di matrice riberesca, vanno ascritti alla sua produzione iniziale: l’Uomo che legge (conservato nel Museo provinciale di Lecce), Gesù tra i dottori (conservato nella quadreria della chiesa del Gesù Nuovo a Napoli), il Ritorno del figliuol prodigo, Lot e le figlie della cattedrale di Monopoli, alcuni Apostoli del convento di San Pasquale a Taranto e il cosiddetto Ritratto di Ludovico Carducci Artenisio (collezione privata). Dalle tele mitologiche rivisitate in chiave naturalistica dal Ribera (come il Sileno ebbro) derivano il Baccanale (Fogg Art Museum di Cambridge) e il Sileno ebbro (Madrid, Prado), nel quale la corposità materica, sottolineata dal vigoroso effetto luministico, si accompagna ad un più acceso cromatismo, sostenuto dal caratteristico arrossamento dei volti. Dalla metà del quarto decennio la svolta pittoricistica determinata dalla sempre più convinta adesione alle proposte di matrice fiamminga, consentirà al pittore, dopo le tele di San Gregorio Armeno, di porsi in linea con le preferenze di Bernardo Cavallino, com’è manifesto nella Santa Caterina d’Alessandria dell’Inps di Roma, che rappresenta un momento di notevole sintesi compositiva per la capacità di conciliare le più moderne esperienze pittoriche con una cura dei dettagli che rimanda al Vouet per il colore perlaceo del volto e a Guarino per l’austerità della forma. Ad una fase successiva appartiene invece la tela dell’Ecce Homo (1647) oggi a New York, che rivela una ripresa delle ricerche naturalistiche, condotta però, con asprezza compositiva. Mentre all’ultima fase si riconduce la Morte di San Giuseppe, dell’Arciconfraternita dei Pellegrini (1652), che testimonia un recupero dello stile guariniano e di notevole ridimensionamento in chiave classicistica. Ultime tracce della sua attività vanno considerate le opere documentate nel maggio 1656 per il reggente Giacomo Capece Galeota : una Pietà, un San Gerolamo, e un San Giovanni Battista. Il pittore morì nello stesso anno, dopo essere stato colpito dalla peste.