La tela, attribuita al fiammingo Anton Goubau, si inserisce a pieno titolo in un filone pittorico largamente praticato dagli artisti fiamminghi e olandesi attivi a Roma nel corso della seconda metà del XVII secolo.
Tale genere che combina la veduta paesaggistica di fantasia, ispirata alle strade e vedute romane, e il gusto narrativo delle scene popolari diffuso da Pieter van Laer, detto il Bamboccio, ebbe un’ampia diffusione nella pittura nordica, si pensi all’attività di artisti quali Jan Miel, Johannes Lingelbach, Jan Both, Peter van Bredael.
Tratto distintivo delle composizioni di Goubau è la propensione alle scene gremite di personaggi dalla minuziosa vivacità descrittiva: a sinistra, una piramide e un arco trionfale riprende fedelmente la struttura dell’arco di Tito antecedente alla ristrutturazione di Giuseppe Valadier (1822-1824); sulla destra, la statua di Diana, sotto cui si affollano i venditori e i comici dell’arte.
Nella tela è anche presente, insieme ai consueti viandanti e venditori, il vecchio Diogene che con la lanterna
va alla ricerca dell’uomo, rievocando un tema moralistico caro alla tradizione nordica, e poco distante l’immagine di un fanciullo inseguito da un cane, presente anche in un altro dipinto del Goubau Mercato di Karlsruhe.
L’attribuzione di questa tela ad Anton Guobau è stata condotta sulla base di un confronto con un’analoga Scena di mercato tra rovine romane (Karlsruhe, Staatliche Kunsthalle, inv. 792) firmata e datata 1658; la stretta continuità tra le due opere induce a credere che siano state dipinte in tempi ravvicinati, vale a dire nel momento in cui l’artista fece rientro ad Anversa, dopo un lungo soggiorno romano (1644-1650) che gli fornì un ampio repertorio figurativo e tematico cui attingere.