La serie di tele raffiguranti tre episodi di tema amoroso doveva in origine costituire un ciclo decorativo unitario, come suggeriscono il formato e lo spirito che informa queste opere che rimanda al tardo classicismo romano di derivazione marattesca, e più in particolare, all’eleganza arcadica delle favole mitologiche di Stefano Pozzi.
L’episodio di Diana ed Endimione caro ai pittori del Seicento per il suo carattere lirico evocato dall’immagine del giovane pastore addormentato nella campagna notturna, diviene pretesto per dar modo all’anonimo artista di realizzare una composizione che fonde la tradizione iconografica precedente con i moderni sviluppi della pittura decorativa settecentesca.
Più complesso è il riconoscimento dei soggetti delle restanti due tele, sebbene la natura organica del ciclo lasci propendere per un riferimento alla mitologia classica. Per tale ragione la seconda scena è identificata con la storia di Piramo e Tisbe in cui il giovane giace a terra esamine, avvolto in un drappo rosso, secondo un prototipo iconografico largamente diffuso nelle raffigurazioni del mito di Venere e Adone; accanto al suo corpo si vede la spada con la quale Priamo si era ucciso perché persuaso erroneamente della morte di Tisbe. La fanciulla sopraggiunta sulla scena, sconvolta dal dolore, si getta sulla spada dell’amato morendo anch’essa.
Infine l’ultima scena potrebbe esser letta come la raffigurazione di Angelica e Medoro tratta dall’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto. Il celebre paladino sarebbe divenuto folle proprio dopo aver visto le iniziali dei due amanti incise sulla corteccia di un albero, il cui atto di reciproco amore è messo in evidenza in questo dipinto.
Lo scarto qualitativo che separa la scena raffigurante Diana ed Endimione dalle altre due di fattura decisamente mediocre, non pregiudica una lettura unitaria del tema affrontato in ciascun opera, ovvero un ammonimento morale, di eco neoplatonica, sulla natura dell’amore: Diana ed Endimione suggerisce la corretta condotta morale da seguire dove l’amore sensuale si trasforma e sublima nella contemplazione spirituale; mentre l’esito tragico della vicenda dei due innamorati Piramo e Tisbe sembra illustrare le conseguenze della totale alienazione dell’individuo nell’amore per l’altro; infine la scena di Angelica e Medoro allude agli effetti nefasti della passione amorosa di natura sensuale.