Nato a Faenza nel 1926, s’iscrive all’Istituto d’Arte per la Ceramica, dove frequenta i corsi di Anselmo Bucci e Domenico Rambelli. La sua formazione s’interrompe nel 1944, quando viene deportato nel campo di lavoro a Hülz, in Germania. Dopo due anni ritorna a frequentare la scuola, diventando allievo e collaboratore di Angelo Biancini. Specializzatosi inoltre, nella decorazione della ceramica, l’artista inizia la sua lunga carriera nel 1950, quando insieme a tre amici, apre un laboratorio ceramico, la Nuova Cà Pirota, nella sua città natale, dove attualmente si trova il “museo Carlo Zauli”.
Aggiornato sui grandi rinnovamenti formali avvenuti nel mondo della ceramica nei primi anni cinquanta, rivoluzionata da artisti come Fontana, Picasso e Mirò, inizia a produrre le sue prime maioliche dominate da un gusto neoprimitivo. Nel 1953 riceve il “Premio Faenza”, il primo riconoscimento ufficiale, mentre l’anno successivo viene allestita la sua prima mostra personale. Durante la III Triennale di Milano entra in contatto con le ceramiche informali degli artisti del gruppo CoBrA, degli Spazialisti, dei Nucleari e con le concezioni ambientali portate avanti da Lucio Fontana. Durante la creazione delle opere ceramiche in maiolica, Zauli inizia a sperimentare il grès. Nel 1958 intraprende la carriera di docente presso l’Istituto d’Arte per la Ceramica di Faenza, intanto realizza 21 bassorilievi in maiolica policroma per il fregio della Reggia di Baghdad (ora Palazzo della Repubblica). Nel 1960 espone in una personale a Madrid opere in grès rivestite da smalti policromi, di forme totemiche dalla geometria elementare. Continua ad avere numerosi riconoscimenti nei concorsi nazionali e internazionali. Nel 1962 inizia la serie dei vasi che Zauli sottopone ad un progressivo lavoro di sintesi geometrica e crescita abnorme, fino a farli diventare veri e propri oggetti scultorei.
Nel 1964 espone per la prima volta in Giappone, in una collettiva itinerante e da allora, i suoi rapporti con la lontana terra orientale diverranno intensi e costanti. Intanto si fanno sempre più numerose le personali in Italia e all’Estero. Negli anni Sessanta cambia la poetica dell’artista, gli oggetti realizzati in questi anni abbandonano le asimmetrie tipiche del decennio precedente e assumono forme elementari, mentre i decori lasciano spazio ad una geometria più omogenea, dove predomina il cosiddetto “Bianco Zauli”, un particolare smalto con sfumature grigie e rosa. Tra il 1967 e il 1968 Zauli giunge alla scultura dopo aver sperimentato tecniche che consentono la realizzazione di grandi opere con materiale ceramico greificato. A questa fase appartengono infatti, le grandi Sfere, Ruote, Cubi e Colonne. Nella seconda metà degli anni Settanta intraprende una nuova ricerca espressiva con nuove sculture, realizzate tramite lo stravolgimento dell’assemblaggio di forme ceramiche eseguite al tornio, i “Vasi sconvolti”che sul finire degli anni Ottanta tendono sempre di più a schiacciarsi e a colorarsi di smalti turchesi. Saranno questi anni impegnativi per lo scultore che, oltre ad essere attivo come artista e a partecipare a mostre in tutto il mondo, viene invitato in vari musei e scuole d’arte a tenere corsi e seminari sulla lavorazione artistica della ceramica, ma anche a far parte della giuria giudicatrice del gran premio internazionale di ceramica in Belgio, Svizzera, in Giappone, in Nuova Zelanda, Cuba e Mosca.
Le sculture di Zauli ben s’inseriscono nel profondo rinnovamento che coinvolge la scultura del Novecento, antimonumentali e antiretoriche si caratterizzano per l’elaborazione di un nuovo linguaggio e la sperimentazione di materie non tradizionali ed ancora, per la ridefinizione del rapporto dell’opera con lo spazio circostante e l’osservatore. Nelle sue creazioni realizzate come provocazioni, si rintraccia il pensiero hegeliano secondo il quale il vero scopo dell’arte è “rivelare la verità sottoforma di configurazione artistica sensibile”. Le grandi sculture di Zauli che s’innalzano verso il cielo, a volte inserite nel cuore di una metropoli, irradiano una potenza e un’energia, in grado di trasformare in poesia, per chi è in grado di ascoltarla, la frenesia quotidiana di uno spazio urbano.