Con il suo ritorno in Italia nel 1947, dopo un periodo di prigionia in India, Carlo Quaglia dedica gran parte della sua produzione al genere paesaggistico ed in particolare alla rappresentazione della Roma post bellica, di cui ritrae scorci inediti, paesaggi fluviali e soprattutto il Foro Romano, che diventa un vero e proprio leit motiv. La sua produzione paesaggistica si fa con il passare degli anni sempre più tardoimpressionista, come sottolineato anche da Giuseppe Ungaretti, suo estimatore e fedele amico, in un saggio del 1963. L’opera della collezione Inps, intitolata appunto Paesaggio romano, raffigura probabilmente la chiesa dei Santi Gregorio e Andrea al Celio, vista dal basso del Circo Massimo. Il paesaggio presenta una calda colorazione d’ocra, dalle morbide nuances di base che ricorda, come evidenziato dalla critica contemporanea, le vedute urbane di Mario Mafai, ma che risulta collegabile anche alla pittura degli anni Cinquanta di Fausto Pirandello. Quaglia sembra qui risentire meno del gruppo dei tonalisti romani che del resto in questo periodo si stavano muovendo verso altre personali rappresentazioni stilistiche.