Negli anni del dopoguerra Publio Morbiducci, che era stato fra i principali scultori di opere monumentali del periodo fascista, si dedica prevalentemente alla realizzazione di sculture di piccole dimensioni e all’arte sacra.
A questa fase appartiene la statua in bronzo, della collezione Inps, narrante il mito di Narciso, colto nel gesto di ammirazione della propria immagine, con il corpo morbidamente ripiegato su se stesso e le mani protese in avanti alla ricerca di un contatto.
Il contrasto tra le linee spezzate delle gambe e la circolarità del busto e delle braccia carica di tensione la scultura, rappresentando efficacemente l’attimo fatale che precede la morte di Narciso.
Opere come questa mettono in luce certi momenti della parabola di Morbiducci dopo gli anni del fascismo e al di fuori delle opere monumentali per le quali lo scultore è maggiormente conosciuto. Bronzi e gessi degli anni compresi tra il 1948 e il 1954-1955 restituiscono, infatti, l’immagine di un artista sensibile, gracile nella forma, che propone un tema figurativo alieno da ogni retorica, attento all’eleganza del corpo e a un senso avvolgente della forma.