Nato a Firenze nel 1906, s’iscrive all’Accademia di Belle Arti, dove diventa allievo prima di Galileo Chini e poi di Felice Carena. Si appassiona fin da subito ai grandi maestri dell’Ottocento: da Courbet a Cézanne a Renoir. Compie numerosi viaggi in Europa, visitando musei e venendo a contatto con i nuovi movimenti artistici europei: dal post-impressionismo al “fauvismo”, dall’espressionismo tedesco, al costruttivismo, all’astrattismo. A Parigi e a Zurigo conosce e frequenta Severini, Braque, Mirò, Picasso, Modigliani. Nel 1933 vince il Pensionato Artistico Nazionale, il massimo premio di pittura e si trasferisce a Roma per vivere e lavorare. Schieratosi con gli artisti della Scuola Romana, porta però avanti un suo discorso personale seguendo l’itinerario che lo porterà da una pittura provinciale ad una pittura europea. Aprendosi alle sperimentazioni in atto in ambito internazionale, cerca un accordo fra la naturale impostazione di matrice classica e l’emotività del disegno e del colore espressionisti.
Tra il 1945 e il 1950 la sua ricerca lo porta ad elaborare un linguaggio più moderno con opere che risentono del suo passaggio dal figurativo all’astratto, dove predomina la lezione cubista con lo sfaldamento dell’immagine.
Dal 1950 avvia un processo stilistico volutamente contraddittorio caratterizzato da diverse soluzioni cromatiche e da fasi antitetiche che vanno da quella informale (1950-58), cui l’artista contrappone la personale “reazione all’informale” (1958- 64), a quella geometrica dei “Ritmi” (1968- 69) che viene annullata a sua volta dalla fase della “liberazione dalla geometrizzazione dei “Ritmi” (1969- 72) che trova la sua conclusione con la mostra romana “ Sessanta variazioni su un tema del 1950”. Torna infine alla riconquista di una “nuova forma”, cercando di riprendere una forma naturalistica risolvendola in una pittura astratta.
La carriera artistica di Montanarini durata settant’anni ha subito contaminazioni tanto diverse fra loro: dall’influenza di Courbet agli esordi, alla fase intermedia dove è stata fortissima l’influenza di Hartung e Pollok, alla ripresa finale del genere figurativo che rimanda a Harmenszoon van Rijn, Rembrandt e Francis Bacon. Ma in tutto questo prevale sempre l’abilità tecnica dell’artista ben visibile nella costante padronanza cromatica, con la quale attraverso colori accesi ed esuberanti, cerca d’imprimere l’elemento primario della composizione. Tutto questo lo si può ben vedere nei numerosi Autoritratti degli anni Trenta e le opere degli anni Cinquanta e Sessanta, che lasciano individuare le forme degli oggetti dai contrasti dei colori scelti per la sua tavolozza.
Nel suo lungo percorso artistico partecipa a diverse edizioni della Biennale Internazionale d’Arte di Venezia dal 1942 al 1958 (anno in cui gli è dedicata una sala personale) e alla Quadriennale d’Arte di Roma dal 1935 al 1972 (il 1956 è l’anno della sala personale). Espone in mostre personali in tutto il mondo: America, Giappone, Paesi Scandinavi, Svizzera, Germania, Sud America, Inghilterra. La sua attività pittorica va di pari passo con quella didattica, infatti dal 1957 ottiene la cattedra di Pittura e dal 1965 al 1976 diviene direttore dell’Accademia di Belle arti di Roma.