Con quest’opera, raffigurante un particolare attrezzo agricolo utile per la lavorazione del terreno dopo l’aratura, Pizzinato continua la propria denuncia sociale sul livello di emarginazione e sfruttamento dell’uomo del Novecento.
L’Erpice, simbolo del lavoro contadino, mantiene viva con la sua stessa presenza la metafora della fatica dell’uomo. La tonalità cromatica, sulla base dell’ocra-marrone, minimo/massimo di uno stesso tono, è volutamente tenuta molto bassa così come, in contrapposizione, l’orizzonte è tenuto molto alto, quasi a sparire dalla vista umana.
L’adesione di Pizzinato al movimento realista è una scelta estetica oltre che etica. L’opera fa parte di quella serie di “vedute” dedicate dall’artista alla realtà del lavoro umano, ed il particolarismo attraverso cui è reso il mezzo agricolo suggerisce un senso di abbandono che non ha niente di romantico o di sentimentalismo tardo-ottocentesco.
Come sottolinea De Grada, la reazione al potere da parte di Pizzinato si esplica anche nella quotidianità, nella produzione perciò delle “piccole cose” del “grande sfruttamento”.