Uno dei primi generi pittorici che descrive e diffonde il tema del lavoro insieme ai suoi protagonisti è la pittura popolare, che fece entrare tra i soggetti degni di essere rappresentati, oltre ai personaggi del mondo del potere civile e religioso, anche la classe lavoratrice con personaggi umili colti nelle loro occupazioni quotidiane, a volte guardati con occhio critico di denuncia sociale, a volte con un atteggiamento più leggero, di curiosità verso i costumi della società contemporanea.
Il genere fu sviluppato dai Fiamminghi e dai Bamboccianti i quali, proseguendo la rivoluzione avviata da Caravaggio con una pittura che descriveva con sconvolgente evidenza la cruda visione della realtà, rinnovarono la ricerca figurativa realistica con scene di vita di strada o di avvenimenti quotidiani, suscitando numerose critiche tra i teorici e i pittori classicisti.
La pittura di Pieter van Laer, il Bamboccio (1592- 1642), insieme a quella dei suoi seguaci, con la rappresentazione di scene di venditori ambulanti, interni di botteghe, borghi abitati dalla gente umile della Roma del Seicento, invitava già ad una riflessione politica e sociale.
La stessa riflessione sarà portata avanti nella pittura del Settecento spinta dallo spirito illuministico diffusosi nei circoli intellettuali.
La serie dei “Mestieri” del seguace di Pier Leone Ghezzi della collezione INPS, che ha come precedente iconografico “Le arti di Bologna”, una serie di incisioni tratte dai disegni di Annibale Carracci (1560- 1609), segue quel filone pittorico che si diffonde agli inizi del Seicento, caratterizzato dal mutamento culturale che guardava con interesse al dato reale e sociale della vita quotidiana. Un genere dilettevole e bizzarro che attrasse l’interesse dei collezionisti e dei mercanti d’arte.
Nelle arti figurative dell’Ottocento, il lavoro è largamente trattato attraverso l’arte realista, dove il “brutto” diventa un elemento significativo.
Anche qui sono proposte tematiche urbane di stretta attualità, dove i soggetti senza essere discriminati in base alla maggiore o minore dignità sono descritti a volte anche con un linguaggio idealizzante (Courbet).
Nel secolo successivo il lavoro con il corpo del lavoratore entra a pieno titolo nella creazione artistica, legandosi spesso ad aspetti di denuncia sociale. Il Novecento è il secolo di una società in crescita, ormai avviata all’industrializzazione e gli artisti, affrontano nelle loro opere questa tematica attraverso soluzioni diverse che vanno dal socialismo umanitario al realismo che celebra il lavoro come progresso, dal lavoro trasfigurato dal liberty al novecentismo di epoca fascista. Nel secondo dopoguerra il lavoro e i lavoratori diventano un topos nell’arte italiana soprattutto da parte di artisti che militando nei partiti di sinistra, riconoscono una componente significativa nelle classi lavoratrici, in particolare negli operai dell’industria.