Nato a Firenze nel 1888, l’artista inizia a disegnare e dipingere fin da bambino, stimolato dalla frequentazione e degli artisti amici del padre, che facevano parte di “quella generazione che venne dopo l’avvento dei post-macchiaioli” e dello scultore Hildebrand.
Contrastato nelle sue scelte dalla famiglia, nel 1905 abbandona l’Italia per recarsi a Monaco di Baviera e in seguito a Norimberga dove vive realizzando acquerelli e decorando porcellane. Ritorna a Firenze dopo otto mesi e si iscrive all’Accademia di Belle Arti frequentando i corsi di Adolfo de Karolis e dell’ormai anziano Giovanni Fattori. In questi anni stringe amicizia con il pittore Armando Spadini. Interrotti gli studi accademici, inizia a dipingere per proprio conto, sensibile all’arte di Cézanne. Nel 1910 Bacci ha la fortuna di studiare dal vivo dei Cézanne, prestategli da Loeser, un collezionista americano, che abitava a Firenze. Fin da subito la sua arte trova un prezioso sostegno nell’amico Gerardo Bergsman (pittore olandese), Giovanni Costetti e il letterato Angelo Cecconi, che sarebbe poi diventato il primo collezionista delle sue opere. Nel 1913, a Parigi, oltre a frequentare Guillaume e Paul Fort, ha l’occasione di conoscere direttamente gli esiti delle avanguardie internazionali (in particolare le ricerche dei futuristi) insieme ad altre opere di Cèzanne. Interessante documento di questo periodo è il diario Parigi 1913. Attraverso note e ricordi, l’artista racconta la sua conoscenza con Degas, gli incontri con gli artisti italiani che vivevano a Parigi, la forte impressione lasciata dai dipinti di Delacroix e l’interesse per l’arte africana primitiva. I dipinti del periodo parigino come La Gare St. Lazare e i Pesci giapponesi, si rifanno, anche se in maniera cauta, all’esperienza di Balla e Boccioni: è questo il momento in cui Bacci prende le distanze dal periodo macchiaiolo della prima formazione per approdare a ricerche astratte. Ma si tratta solo di una breve parentesi, rientrato in Italia nel 1913, ritorna infatti al figurativismo d’ispirazione cezanniana. Chiamato sotto le armi nel maggio del 1915, traccia del periodo bellico schizzi, disegni, appunti dalla trincea e dipinti di piccolo formato. Tornato a Fiesole nel 1919, riprende a lavorare e ad esporre (Ginevra 1920), mentre nel 1922 partecipa alla Primaverile Fiorentina, dove ottiene una sala personale, in cui presenta singolari opere, tutte composizioni con figure dal vero, raffiguranti scene quotidiane. I quadri sono il risultato di una propria ricerca sulla pittura del Seicento, in particolare su quella del Caravaggio, un indirizzo che avrà tanta fortuna in ambito fiorentino e che troverà importanti sostenitori in Matteo Marangoni, Roberto Longhi, Angiolo Cecconi e Ugo Ojetti. La ricerca di Bacci è tesa a mettere insieme la potenza costruttiva di Fattori al naturalismo seicentesco e in particolare al luminismo essenziale e plastico di Caravaggio. Una pittura caratterizzata dalla monumentalità dell’impianto, dalla rarefazione compositiva, dallo spazio scandito da poche masse, da un cromatismo denso e compatto, un chiaroscuro netto e contrastato.
A metà degli anni Venti, l’artista partecipa alle principali iniziative espositive nazionali e internazionali. La sua abitazione a Fiesole diviene, intanto, luogo d’incontro di artisti, letterati e musicisti che gravitano attorno alla rivista “Solaria”, nella quale Bacci collabora con scritti, disegni e saggi critici. Nel 1928 inizia il ciclo di affreschi nel convento della Verna, con episodi della vita di san Francesco, alcuni di loro andati distrutti durante il secondo conflitto mondiale, sono stati poi completati e restaurati dall’artista stesso tra il 1958 e il 1963. Durante le vicende belliche è nominato presidente della Commissione per la protezione delle opere d’arte del Comune di Firenze. Nel 1948 riprende l’attività espositiva: in questo periodo si dedica alle nature morte e a soggetti di vita domestica colti da un attento realismo, con una particolare attenzione alla luce, prendendo spunto dalla pittura d’interni del Romanticismo nord-europeo. Dipinti che rimandano allo stile di Silvestro Lega unito all’espressività della luce romantica danese, tedesca, inglese oltre che alla rarefazione compositiva di Chardin e Vermeer, i grandi maestri dell’intimismo.
Nel 1955 si trasferisce a Roma, dove rimane fino al 1972. In questi anni è impegnato nella preparazione dei cartoni per la decorazione musiva della Cattedrale di Salerno, che era stata rovinata dai bombardamenti. Collabora alla rivista “Fede e Arte” e a “Letteratura”. Nel 1957 affresca la collegiata di Montevarchi con storie francescane, continuando anche negli anni successivi a (curare) diversi progetti decorativi. Tornato in Toscana nel 1972, muore dopo due anni.