Jusepe de Ribera, detto lo Spagnoletto, nasce a Játiva nel 1591. Attirato dalle opere del Caravaggio, giunge ben presto in Italia, dove soggiorna inizialmente nelle regioni settentrionali, per poi trasferirsi a Roma intorno nei primi anni del ‘600, alloggiando nel rione Campo Marzio assieme ad altri artisti spagnoli. Giulio Mancini ricorda tra le opere del soggiorno romano le tele dei cinque Sensi commissionate da Pietro Cussida, rappresentante commerciale del Re spagnolo a Roma. I modelli a cui si rivolge il de Ribera per realizzare le sue opere fanno parte degli strati più umili della società del tempo ed egli li registra in ogni loro crudezza, bruttura, deformità, in un’adesione esasperata al dato naturale che lo porterà ad avviare una vera e propria innovazione nel panorama dei pittori caravaggeschi. Grazie alla sua puntuale riproduzione del dato naturale, in la Vista, una delle tele appartenenti alla serie dei Sensi, è stato possibile riconoscere la prima rappresentazione del cannocchiale galileiano, appena teorizzato nell’ Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari, pubblicato a Roma nel 1613.
Nel 1616 de Ribera si trasferisce a Napoli, allora governata dai vicerè spagnoli, i quali offrirono costante protezione al giovane artista nel corso della sua carriera. Fino agli anni ’30 permangono nella sua pittura gli accenti brutali che avevano caratterizzato la produzione romana, come si nota in alcune tele di questo periodo, quali il Sileno Ebbro del 1626 ora al Museo di Capodimonte, il Martirio di sant’Andrea di Budapest e il Martirio di san Bartolomeo del Prado, in cui i corpi deformi e tormentati dei soggetti vengono presentati in tutta la loro cruda realtà. Tuttavia intorno al 1630 si registra un cambiamento di stile, la tavolozza si schiarisce, si illumina, e il naturalismo si ammorbidisce in una ricerca di forme più eleganti e preziose. Nello stesso periodo, del resto, soggiorna a Napoli Diego Velázquez e soprattutto sono presenti sin dagli anni ‘20 gli emiliani Guido Reni, Lanfranco e Domenichino. Questo seconda maniera stilistica che caratterizza l’opera dello Spagnoletto dopo gli anni ’30, nonché il nuovo orientamento artistico dell’area napoletana, è esemplificato da alcune opere di gran valore che raggiungono i vertici della sua produzione artistica: le due versioni dell’Apollo e Marsia di Napoli e Bruxelles, il sogno di Giacobbe, la Liberazione di san Pietro del Prado e la Pietà eseguita nel 1637 per la Certosa di san Martino.