Giorgio Valenzin nasce a Pordenone da una famiglia di origini ebraiche stabilitasi da lungo tempo a Venezia. Si forma da autodidatta sulla pittura di paesaggio veneta che durante gli anni va sempre più deformandosi con l’aumento del tono- colore e la rarefazione luministica di derivazione espressionista.
A Venezia, dove risiede stabilmente, assorbe la cultura artistica locale della metà del Novecento. Esordisce infatti, dedicandosi ad una pittura di paesaggio legata all’impressionismo veneziano dei cosiddetti “pittori di Palazzo Carminati” contrari alla vecchia scuola veneziana. Di essi, tuttavia, ne condivide solo alcuni principi, preferendo restare indipendente. Crea le sue prime opere tra il 1932 e il 1933 esponendo fin da subito alla Galleria Bevilacqua, partecipazione che continuerà fino al 1950.
Sul finire degli anni Trenta i suoi quadri luminosi, caratterizzati da un tono malinconico sono influenzati, dalle correnti europee, in particolar modo dall’Espressionismo.
La sua carriera artistica s’interrompe durante la Seconda Guerra Mondiale, durante la quale viene rinchiuso in un campo di concentramento in Svizzera. A guerra conclusa, ricomincia la sua attività espositiva a Zurigo, Losanna e Ginevra, mentre in Italia vengono organizzate mostre in suo onore a Milano, presso la galleria Sherman e a Venezia, presso la Galleria del Cavallino. La sua pittura da sempre caratterizzata da trasparenze luministiche, in questi anni s’incupisce e si trasforma in paesaggi visionari e fantastici, ma soprattutto inquietanti e drammatici (“Regata”, “San Pietro” 1950). Man mano le sue tinte si schiariscono e diventano sempre più evanescenti, grazie anche all’uso di una nuova tecnica, quella dell’encausto (cera e tempera), più adatta per ottenere nuovi risultati e stemperare i colori. Le tinte si fanno così, ancora più rarefatte e fanno emergere segni e macchie misteriose. Dagli anni Settanta i sui paesaggi lagunari mutano: l’artista si concentra infatti nel cosiddetto ciclo delle “pietre”, sulla matericità dei muri della sua Venezia.
Nella serie delle “pietre” si coglie una riflessione più intima, più esplicita rispetto alle opere precedenti. Sono paesaggi in cui l’artista riscopre il mondo archeologico (con richiami alle esperienze di Sironi) e nei quali appaiono dunque, pietre, ruderi, oggetti simbolici, cupi, attraversati da luci livide e tetre che vogliono esprimere la tragedia di un popolo o di una razza il cui destino è negativamente segnato. Le pietre hanno infatti un significato simbolico preciso, diventano messaggi ammonitori. Il passaggio di Valenzin dai suoi tipici paesaggi evanescenti, dalle figurazioni visionarie a queste nuove figurazioni di sagome monolitiche, portatori di una memoria dolorosa, di scritte allusive, di pietre- mostri, è stata una maturazione lenta, nella quale attraverso una dolorosa memoria ha voluto interpretare i caratteri di una fisionomia inquieta e angosciosa della storia dell’uomo.
Morto nel 1978 riceve nell’arco della sua vita diversi riconoscimenti. Molte sue opere sono presenti nelle principali collezioni italiane e straniere tra cui la Galleria d’Arte Moderna di Venezia.