Nato a Roma da una famiglia di origini modeste, apprende da autodidatta la tecnica pittorica e nella bottega dove il padre svolge l’attività di imballatore incontra quotidianamente artisti. Ma è solo nel 1934 che si dedicherà completamente alla pittura, dopo aver stretto un profondo rapporto d’amicizia e di collaborazione con Mafai e dopo vari incoraggiamenti da parte degli artisti della Scuola Romana (Carena, de Pisis e Spadini).
La sua prima esposizione risale al 1937 in occasione della IV Mostra del Sindacato Fascista di Belle arti a Roma. Nello stesso anno organizza la sua prima personale presso la Galleria Apollo, dove espone diciannove dipinti. Nel frattempo apre uno studio nella celebre via Margutta al numero 51/a, già residenza di tanti artisti. Nel 1939, richiamato a Piacenza al servizio militare, decora la caserma cittadina con un affresco dedicato a Santa Barbara. L’anno seguente partecipa alla Biennale di Venezia esponendo La piccola Anna. Dopo un’altra mostra personale alla Galleria di Roma, partecipa al Premio Bergamo. Negli anni Quaranta realizza un ciclo di rappresentazioni cupe, in cui sono ritratti quartieri urbani, ghetti e rifugi di sfollati allora ubicati lungo la via Flaminia. La serie denominata Orti si caratterizza per un deciso espressionismo cromatico. Fra il 1943 e il 1944 si ritrova insieme a Yaria, Stradone, Colla, Turcato e Scordia nel salotto dello scultore siciliano Mazzullo, punto di riferimento per gli artisti romani schierati politicamente a sinistra. Dopo la Liberazione collabora alla prima testata del giornale “L’Unità” insieme ad Afro, Guttuso e Mafai e nella “I Mostra dell’Arte contro la barbarie”, organizzata da “L’Unità”, presenta il dipinto La fucilazione di Bruno Buozzi a La Storta. Terminata la serie degli Orti, inizia a raffigurare scene di barboni e di povera gente lungo Ponte Milvio. Continua intanto la sua attività espositiva tra Roma Milano e ancora una volta alla Biennale di Venezia (1948) con cinque dipinti. Alla fine degli anni Quaranta compie un viaggio tra la pianura del Vercellese, la Svizzera, i Paesi Bassi e la Germania per trovare nuove fonti d’ispirazione. Dalla contemplazione di questi luoghi derivano alcuni paesaggi e i barboni di Porta Ticinese a Milano, riaffrontando ancora una volta temi sociali.
Le marine con i pescatori siciliani e i paesaggi della Sila sono i temi degli anni Cinquanta, derivati dal viaggio durato due anni tra contadini, pastori e pescatori delle due regioni meridionali.
Partecipa alle mostre collettive di Pittsburgh e Boston (1950), alla mostra itinerante di Art Club nei paesi scandinavi, alle Quadriennali di Roma (1955, 1959, 1966) e alle Biennali veneziane (1952, 1954, 1956), ad un’altra mostra collettiva a Tokyo mentre in Italia si susseguono numerose personali. La pittura di questo periodo rimane coerente dal punto di vista tematico e prosegue lo stile espressionista con chiari rimandi a Van Gogh. Alle vedute di paesaggio sospese in una dimensione fiabesca, si contrappongono le rappresentazioni dei temi umani, che si caratterizzano per una partecipazione solidale e per un intimismo inquieto. Negli ultimi anni in cui sperimenta il colore acrilico, l’artista supera la fedele adesione alla realtà acquistando una visione più evocativa e sognante del soggetto rappresentato. Nel 1973 l’editore Guelfi pubblica una raccolta di sue poesie.