La rappresentazione di città, siano esse simboliche, reali o ideali, ha trovato sin dall’antichità uno spazio ben definito nelle arti figurative. Immagini urbane, accompagnate da scene di guerra e di conquista, sono presenti nelle decorazioni di molti edifici assiro-babilonesi, numerosi sono inoltre gli esempi rintracciabili nell’arte greca, di cui gli eccezionali e dettagliati affreschi di Akrotiri a Santorini (XVI sec. a.C.) rappresentano solo i casi più noti. E’ comunque l’arte romana la più ricca di raffigurazioni urbane fra le civiltà artistiche dell’antichità. Celebri scene urbane sono presenti nei dipinti parietali di Pompei e della Domus Aurea a Roma, così come nei dettagliatissimi rilievi della Colonna Traiana.
Lo schema della città rappresentata entro la cinta di muratura, con alcuni edifici che affiorano dall’interno, percorre tutto il Medioevo. Scompaiono però con l’inizio dell’epoca tardoantica i capricci architettonici di epoca romana, le vedute urbane a distanza e le rappresentazioni realistiche ed analitiche degli edifici e degli scorci cittadini. Una delle ultime opere in cui la rappresentazione della città mantiene un valore naturalistico è il mosaico absidale di Santa Pudenziana a Roma la cui Parusia è ambientata in una riconoscibile Gerusalemme storica di inizio V sec., ma allo stesso tempo, per la connotazione apocalittica, anche nella Gerusalemme Celeste. Tale mistione tra realtà e simbolo ha quindi ampia fortuna. Si delineano pertanto precise convenzioni figurative e le immagini di città sono caratterizzate nell’intera epoca tardoantica da una descrizione schematica e simbolica e una sfuggente resa spaziale; aspetti evidenti ad esempio nei ritratti musivi di Ravenna e del Porto di Classe della basilica di Santa Apollinare Nuovo.
La città vista dall’interno torna ad ambientare narrazioni sacre e profane nei dipinti della fine del XIII sec., comportando una più attenta descrizione degli edifici e dei particolari architettonici. Si pensi ad esempio alla pittura di Giotto e in particolare a La cacciata dei diavoli da Arezzo o all’Omaggio dell’uomo semplice, in cui è nuovamente possibile individuare precisi monumenti o scorci cittadini. La raffigurazione del tessuto urbano raggiunge poi in alcuni casi notevole complessità, come ad esempio nell’affresco Effetti del Buongoverno in città e in Campagna realizzato da Ambrogio Lorenzetti nel Palazzo Civico di Siena. Continua a sopravvivere però, soprattutto per uso celebrativo, anche la rappresentazione metonimica della città attraverso un monumento isolato o l’accostamento dei suoi edifici più prestigiosi.
Tappa fondamentale nella storia della rappresentazione della città è quindi l’Umanesimo con l’affermazione della prospettiva e lo sviluppo del concetto di “città ideale”. Quest’ultima è al centro di numerosi trattati architettonici, primi fra tutti quello dell’Alberti, così come di un’ingente produzione artistica, quali le celebri vedute di Urbino, Baltimora e Berlino. Nei cicli narrativi inoltre gli spazi urbani e le strutture architettoniche si rendono decisamente razionali, ottenendo soprattutto una spiccata autonomia.
A sbilanciare la dialettica tra città ideale, simbolica e reale a favore di quest’ultima è, oltre agli interessi celebrativi e documentari, come nel caso delle dettagliatissime scene dell’assedio di Firenze negli affreschi di Palazzo Vecchio, il desiderio di raffigurare, riconoscere e contemplare affascinanti luoghi cittadini. Nelle vedute di Bellini la narrazioni di eventi diviene occasione per ritrarre determinati scorci della città lagunare. Dal XVI sec. ha quindi avvio il processo che porta all’affermarsi nel secolo successivo della vera e propria veduta urbana, ormai autonoma da propositi narrativi o celebrativi e orientata su quattro principali direttrici: la pittura di rovine antiche con l’integrazione delle stesse in ambientazioni urbane, il cui esponente più celebre è Giovan Battista Piranesi, presente nel patrimonio artistico dell’Inps con tre splendide acqueforti; l’interesse documentario per il rinnovamento urbanistico e monumentale della città, su cui si specializzano numerosi incisori dell’epoca; scene di genere ambientate negli spazi urbani ad opera dei bamboccianti, ma a cui si avvicinano anche numerose incisioni del Pinelli, e infine la pittura di architettura in prospettiva illusionistica e scenografica.
La nascita della veduta urbana è collegata in Italia all’attività di Gaspar van Wittel, i cui dipinti preludono alla straordinaria stagione della veduta veneziana, con Carlevarjs, Canaletto e Bellotto. Il genere si diffonde quindi con grande varietà in tutti i maggiori centri della penisola. Una svolta decisiva si evince però già in certi panorami lagunari di Francesco Guardi, in cui l’interesse documentario è posto in secondo piano rispetto a valori di carattere evocativo-suggestivo. Il passaggio successivo in questa lunga storia iconografica è il riconoscimento della città e della sua veduta come vocazione interiore, proiezione di emozioni e sentimenti. Gli impressionisti raffigureranno le moderne vie parigine ed i nuovi luoghi di svago cittadino, la città sarà quindi immagine del disagio metropolitano delle tele di Kirchner e Otto Dix, testimonianza di progresso nelle opere futuriste e teatro di sospese ed inquietanti atmosfere in quelle di De Chirico. Le immagini di città assorbiranno quindi le più svariate emozioni degli artisti contemporanei: disagi sociali, senso di solitudine delle periferie e quanto altro.