Il paesaggio è il genere pittorico che ha incontrato maggiore popolarità negli ultimi due secoli per la sua intrinseca godibilità, dopo un percorso iniziato nel XVI secolo alla conquista di una piena autonomia e dignità tematica.
Il paesaggio italico, con le sue incontaminate bellezze naturali, il fascino incomparabile della luce mediterranea e le suggestive testimonianze di una storia gloriosa quanto antica, si configura come un mito, da esportare anche all’estero. Gli artisti stranieri giungevano nel Bel Paese per trovare nuove fonti d’ispirazione, realizzando soprattutto vedute delle più significative città italiane, meta del tradizionale Voyage d’Italie.
In particolare nella seconda metà del Seicento sono attivi in Italia artisti olandesi e fiamminghi, che fanno fiorire una tradizione paesaggistica nata dalla fusione del dato naturalistico di matrice nordica, con il sentimento poetico tipico della tradizione italiana. Tre sono i dipinti all’interno della collezione Inps ad essere i testimoni di questa tendenza. Ma una delle opere più importanti della collezione è quella attribuita a Gaspard Dughet, uno dei maggiori paesaggisti attivi nel Seicento.
Nell’epoca del Romanticismo, espressione di una spiritualità in cui si concretizzava la fusione tra l’Uomo e la Natura, in bilico tra sublime e pittoresco, la natura offriva all’artista l’opportunità di sperimentare libertà creativa e nuove soluzioni formali.
La libertà dagli schemi accademici fu sinonimo della volontà di riprodurre il mondo naturale quanto più fedelmente possibile. La capacità di trascrivere il vero divenne quasi un’ossessione nel secondo Ottocento, sollecitata anche dalla grande rivoluzione operata in Francia dagli Impressionisti e parallelamente dalle scoperte della moderna fotografia. L’nvenzione della fotografia contribuì a modificare i rapporti dell’uomo con la realtà e nello stesso tempo cambiò lo scopo e la concezione stessa dell’arte. Gli Impressionisti sono i primi che sentono di dare un senso differente alla loro pittura, non più legata alla mera riproduzione della natura.
La totale modifica del linguaggio artistico tradizionale fu portata avanti dai movimenti postimpressionisti, dal Pointillisme ai Fauves, dagli Espressionisti ai Cubisti, tutti protesi a cercare nuove forme per rappresentare la natura fino ad arrivare alla progressiva semplificazione e scomposizione delle forme che culminerà con la pittura astratta.
La pittura di paesaggio italiana del XX secolo, ampiamente rappresentata nella collezione Inps, oltre ad essere influenzata dai movimenti di avanguardia, risente inoltre della modernizzazione e della progressiva industrializzazione del territorio. Questo fenomeno in particolare, che provoca uno sviluppo sempre maggiore delle città a scapito della campagna, porta gli artisti a confrontarsi con un paesaggio in continua trasformazione e la pittura di paesaggio diventa pittura di paesaggio urbano, nella quale la protagonista è la città con le sue periferie.
Scorci della Roma del dopoguerra si vedranno in Carlo Quaglia, che dipinge con colori caldi e vibranti, che richiamano le vedute di Mafai, scorci inediti della città ed in particolare il Foro romano che diventerà il suo principale leitmotiv. E ancora Attardi che farà del panorama urbano romano il suo tema prediletto negli anni Cinquanta rappresentando la realtà quotidiana attraverso le strade, i palazzi del centro con le mura in rovina e le immagini fluviali; mentre Omiccioli negli anni Sessanta, parte da tranches de vie di luoghi familiari per trasformarli in emblemi di una nuova visionarietà attraverso un netto espressionismo cromatico.
Altri artisti legati alla Scuola Romana e in particolare alle ricerche del tonalismo sono Mimì Quilici Buzzacchi e Francesco Trombadori: la prima rimanendo legata allo sviluppo sentimentale, il secondo concentrandosi di più sulle variazioni luminose. Per quanto riguarda invece Massarin, il paesaggio marino o lacustre sarà usato come pretesto per lo studio del fenomeno ottico della luce che si scinde nei colori che la compongono, dando vita a paesaggi deformati da un tratto cromatico segnico.
All’interno della collezione Inps non mancano inoltre riletture del linguaggio impressionista. I dipinti di Tommaso Cascella in particolare ne adottano la carica emotiva, caratterizzandosi per i continui riferimenti alla sua terra d’origine: a quella specifica cultura e tradizione del mondo contadino abruzzese. La stessa terra abruzzese è riletta anche da un grande interprete del paesaggio quale Carlo D’Aloisio da Vasto. I suoi paesaggi calati in una tipica luce mediterranea toccano, grazie alla caratteristica pittura tonale, accenti di grande lirismo.
Nel Novecento, solcato dalle inquietudini nate in seguito alla frattura di quell’unità spirituale e culturale che aveva caratterizzato il XIX secolo, la natura, non più assimilabile al principio di verità, diviene teatro delle emozioni e dei conflitti esistenziali dell’uomo moderno. Fernando Troso, ad esempio, esprime il rifiuto della realtà moderna, esaltando il mondo naturale come modo di vivere alternativo. Egli in particolare si caratterizza per la scelta del chiarismo, che dissolvendo il volume, la linea e il colore, recupera un’atmosfera di stampo fiabesco.
L’arte figurativa del XX secolo si è espressa in forme varie e con tendenze mutevoli, sospese tra il recupero del passato, il confronto con il presente e la proiezione nel futuro.
Artisti come Riccardo Francalancia in parte della loro opera hanno composto la fisionomia della nuova realtà con lo sguardo volto ai modelli del passato. Anche il ruolo della tecnica è stato rivisitato alla luce della tradizione, nella volontà di restituire al lavoro pittorico il suo valore magico.
Altri ancora, disinteressati al recupero del classicismo, hanno cercato pulsioni profonde nel presente, quotidiano e banale ma degno di essere rappresentato. Forma e stile si sono adeguati a queste nuove ricerche tematiche, approdando spesso ad esiti di notevole forza espressiva.